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Born to Be Blue - La recensione dal Tokyo Film Festival

È soprattutto nei non detti (e nel Hawke protagonista) il fascino di questo biopic sulla vita di Chet Baker, condizionata da musica e droga

25.10.2015 - Autore: Mattia Pasquini (nexta), da Tokyo
Ci si sente ridicoli, spesso, a preoccuparsi degli spoiler nel caso di biopic, ma il dubbio che non conoscendo le vicende del soggetto rappresentato si possa godere maggiormente del film, quasi fosse un'opera di fiction, resta… Soprattutto quando regista e sceneggiatore si prendono delle libertà quando a fedeltà alla storia raccontata. Ed è quel che accade in Born to Be Blue di Robert Budreau, interpretato da uno splendido Ethan Hawke, nella quale lo sviluppo della vita del celebre jazzista Chet Baker finisce per acquisire elementi da drama dei più classici.



Anche troppo, a tratti. Vista la messa in scena piuttosto tradizionale e l'altrettanto 'da manuale' crescendo (pur con il dubbio che si tratti di 'fall and rise' e non di 'rise and fall') che Budreau organizza prima in fase di scrittura e poi di regia. Il taglio resta piuttosto patinato, più affettato, tendente al vintage e carico di cliché - soprattutto sulla West Coast statunitense e sulle faide tra musicisti - di quanto la drammaticità di alcune scene avrebbe potuto suggerire.

Eppure con una sua onestà, assoluta, come molti recenti film biografici non hanno saputo mettere in scena. Merito certamente dell'interprete principale, la cui passione emerge sullo schermo, anche per i sei mesi di studio passati a perfezionare canto e manualità sulla tromba. Probabilmente la vera protagonista, considerata anche l'interessante insistenza della macchina da presa a portarci spesso dentro la sua campana.



Escamotage quasi simbolico, della necessità di passare attraverso 'Lei' per raggiungere il suo padrone. Imprescindibile, per noi del pubblico, ma anche per le figure della vita del travagliato artista, come vediamo sullo schermo. E come ci raccontano le cronache, riguardo principalmente la sua dipendenza dall'eroina. C'è droga, violenza, dramma e amore, ma il film non è qui. È proprio abbandonando questo livello superficiale ed eccessivamente manierato che emerge l'anima che un biopic deve avere. Quasi in maniera subliminale, in questo caso. Fino alla conclusione, e alla emissione della definitiva condanna, evidente sin dal titolo, ma che tradotta in musica ci porta lontano e resta con noi fino oltre i titoli di coda.

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