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Black Sea – La nostra recensione 

Poteva essere un thriller come tanti ma nel film di Macdonald il respiro dettato dall'acuto ritratto sociologico aggiunge enfasi all’azione

18.04.2015 - Autore: Alessia Laudati
Sprofondare nel Mar Nero più esoterico per mostrare le aspirazioni e le difficoltà della working class contemporanea.

Black Sea di Kevin Macdonald, vincitore dell'ultima edizione del Courmayeur Noir in Festival, è un thriller claustrofobico dove, al tradizionale mistero, si somma una componente sociologica, uno studio approfondito dei caratteri e delle situazioni che lo rendono un’opera molto interessante dal punto di vista dell’innovazione al genere.


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Sì perché la discesa negli abissi di una ciurma anglo-russa, capitanata dal lupo di mare Robinson (Jude Law) e alla ricerca di un tesoro affondato dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, è pur disfunzionale, violenta, imprevedibile, ma condivide con il resto dell’umanità un desiderio, quello del lavoro e del consolidamento del proprio ruolo pubblico, che la modernità ha trasformato, da diritto essenziale, a sogno sanguinoso per buona parte della classe popolare.

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Questa è la tensione emotiva che percorre con efficacia Black Sea, dove ogni ottima soluzione registica, sempre serrata, vive dell’enfasi di una sceneggiatura, firmata da Dennis Kelly, che affianca alla singola caratterizzazione dei personaggi, l’intreccio di dinamiche personali e sociali, che trasformano il film, più che in un thriller d’azione, in un complicato nodo psicologico, un noir chiaroscurale che solo l’epilogo finale potrà poi sciogliere. 

Black Sea è distribuito da Notorious Pictures

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