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Bird Box, la recensione del nuovo film di Susanne Bier 

Sandra Bullock e John Malkovich cercano di sopravvivere alla fine del mondo. Consigliato a chi cerca un brivido natalizio

Bullock

21.12.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Nel raccontare l’incubo, il cinema di oggi sta riscoprendo l’importanza dei cinque sensi. È come se fosse un ritorno alle origini, a una dimensione quasi primordiale, in un’epoca fatta di rumori, urla, musica nelle cuffie e paura del silenzio. Così pochi mesi fa il grande schermo ha risposto con A Quiet Place - Un posto tranquillo, horror post apocalittico dove belve con “orecchie giganti” massacravano gli ormai pochi sopravvissuti. Non si poteva parlare, la salvezza era il linguaggio dei segni.

Oggi con Bird Box il nemico è la vista, i protagonisti si muovono con una benda sugli occhi, per sfuggire all’inevitabile. Non guardare: ascolta, percepisci l’altro, all’epoca dei flussi continui di materiale video, delle fake news e di tutto ciò che è “post”, sembra essere il messaggio. È una provocazione, che spinge ad andare oltre la superficialità condivisa. Chi “vede” non è illuminato, perde il controllo di se stesso e cerca in tutti i modi di suicidarsi.



Ecco la fine dell’umanità, che già nel 2008 M. Night Shyamalan aveva messo in scena in E venne il giorno. A dieci anni di distanza, la sequenza in cui un gruppo di muratori si gettava da un tetto fa venire ancora i brividi. I due film hanno un’atmosfera tetra, con una fotografia che predilige i colori spenti. Ma mentre Shyamalan indicava un colpevole per la mattanza, la danese Susanne Bier preferisce mantenere tutto nell’ombra.

Il “mostro” non deve uscire allo scoperto. La morte serpeggia per le strade, viene portata dal vento, si trasforma in un bisogno inarrestabile. È una questione di nervi, di autocontrollo: i curiosi non hanno scampo. Le macchine si schiantano le une contro le altre, l’umanità sceglie di tramontare nel modo più doloroso. Ma da dove nasce il male? Non lo sapremo mai.



Bird Box si svolge su una doppia linea narrativa: un viaggio sul fiume e un flashback. Passato, presente. Passato: pochi superstiti si radunano in una casa, ma il mondo esterno continua a bussare alla porta. Presente: una madre, due bambini, una traversata impossibile, in mezzo a una natura selvaggia, che nasconde la più grande delle minacce. Echi da La strada di Cormac McCarthy, con l’attacco al quieto vivere e le istantanee di una realtà devastata. The River, tutto gira attorno a quel corso d’acqua, teatro di incontri, disperazione, tentativi estremi di sopravvivere.

La macchina da presa si concentra sul viso degli innocenti, non mostra mai la fonte del pericolo. Bird Box affascina, costruisce bene la tensione, anche se nella seconda parte rischia di perdersi. Ma “l’eroina” Sandra Bullock convince quando la storia sta per arenarsi, e tiene alto il ritmo. Irresistibile anche John Malkovich, specialmente al grido di: “Make End of The World Great Again” (durante la campagna elettorale lo slogan di Trump era: Make America Great Again). Una stoccata all’attuale presidente degli Stati Uniti, anche in un futuro catastrofico. Un sussulto nel Natale per famiglie targato Netflix, tra un cinepanettone e un Santa Klaus scatenato.