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Battaglie virtuali e derivazioni concrete

Delude la seconda collaborazione tra Zack Snyder e il compositore Tyler Bates: 300 sconfitto dal citazionismo musicale

300 - Colonna Sonora

12.04.2007 - Autore: Giuliano Tomassacci
    Un riflesso condizionato da anni sempre più accreditato non solo dal montare delle aspettative negli appassionati di musica da film in proporzione alla grandezza del film, ma anche dallo sfarzo orami d’uso con cui le etichette discografiche più à la page investono sulle rispettive colonne sonore, soprattutto in quanto a promozione.

Qualche volta la presunta qualità musicale preannunciata da queste ultime - alimentata dalla mastodontiche sembianze produttive del film – e l’effettivo valore dell’opera corrispondono. Qualche volta no. E la delusione, soprattutto nel caso degli ascoltatori cine-musicali alle prime armi, è ancora più cocente quando con il piglio delle grandi occasioni si caricava l’attesa di un nuovo score con fior di comunicati stampa inneggianti a chissà quale capolavoro dell’ottava arte – magari aggiungendo incauti riferimenti alle caratteristiche di un lavoro compositivo forgiato su intenti di rara comprensione audiovisiva.

    Il problema è che la partitura messa a segno da Bates per questo peplum moderno sulla battaglia delle Termopili vive (o sopravvive) così sostanzialmente e arrendevolmente dei suoi numerosi riferimenti cine-musicali da legittimare molto più il citato, esplicito saccheggio dalle altre fonti che un lavoro teso all’emulazione. Perché insomma non inserire l’originale “Victorius Titus”, composto da Elliot Goldenthal per il Titus di Julie Taymor (la vera causa dell’accanimento globale verso questo score), evitando ad un giovane compositore di belle speranze come Bates di ricalcarla per il suo “Returns A King”? Cade, in questa circostanza, anche l’attenuante del tempo tecnico risicato, della commissione da risolvere sul fil di lana di una post-produzione in accelerazione febbrile verso la data di uscita. Ci pensa infatti lo stesso Snyder, nelle note di copertina del cd, a specificare quanto in anticipo sulla produzione il suo compositore sia stato chiamato ad assisterlo, per “aiutarlo e inspirarlo”.

Forse – e sarebbe davvero la prima volta in cui un compositore cinematografico mette così deliberatamente a repentaglio la propria libertà creativa prima dell’intervento normativo degli studios – proprio per ispirare l’amico regista, Bates si è prodigato in una serie di consigli audiovisivi quantomai precisi. Si spiegherebbe l’ennesimo ricorso ai due Predator musicati da Alan Silvestri, partiture per le quali Bates aveva già dimostrato indubbia simpatia citando a menadito l’angolare tema portante del primo episodio nell’horror Slither. Qui sono gli scenari tribali del secondo capitolo, punteggiati di costruzioni ambient e progressioni percussionistiche, ad avere la meglio sulla tavolozza generale del componimento, arrivando nuovamente a similitudini estreme. Ma a livello d’impostazione stilistica gli appigli formali non si esauriscono qui: con l’enfasi sinfo-rock brevettata da Hans Zimmer per Bruckheimer arriva anche il sapore esotico e i vocalizzi marocchini del Gregson-Williams de Le Crociate, quest’ultimo potatore già di suo di influenze horneriane evidentissime. Poi, rimanendo all’utilizzo distendente della voce di Azam Ali (“Goodbye My Love”), come non pensare alla lezione dell’Howard Shore de Il Signore degli Anelli, responsabile – evidentemente – anche dell’influenza dei passaggi melodici più lirici (“The Council Chamber”).

  Così tra muscolature ritmiche, eccessi di tamburi Taiko, strumentazioni speziate e intarsiature elettroniche, l’unico a rimanere fuori è proprio Bates, perso nell’anonimato più totale – a parte forse un pungo di tracce (come la conclusiva e crescente “Remember Us”).

In fondo, se lo stato attuale dell’ambiente hollywoodiano riesce ad imporre limiti stringenti a colleghi maggiormente rodati, non deve stupire che un emergente si sia trovato a soccombere. Ma resta il modo in cui si soccombe, perché al di là di quanto venderà questo disco il risultato si situa tra i più preoccupanti dell’attuale, poco rassicurante autunno della musica applicata al grande schermo.


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