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Banat - Il viaggio – La recensione dal Bif&st

Leggero e stralunato ma anche capace di parlare di temi importanti; Banat è una riuscita sorpresa
   

Banat 

05.04.2016 - Autore: Alessia Laudati (Nexta) - da Bari
Il senso del vivere al tempo di migrazioni fisiche e mentali cospicue. Banat - Il viaggio - del regista esordiente al lungometraggio Adriano Valerio, da una parte  può essere opera quasi generazionale – perché di identitario ha il percorso di un uomo e di una donna che per aspirazioni, smarrimenti e assenza di risposte, possono rappresentare bene le problematiche di una generazione di ventenni e trentenni - dall’altra però è un film che per trattare questo tema sceglie il focus intimo sulle persone piuttosto che la freddezza del grande ritratto sociale.

Perché tutto in Banat parte dall’osservazione calda di un’umanità specifica. Quella composta da un ragazzo che sta per lasciare l’Italia all’indirizzo della Romania, ovvero Ivo (Edoardo Gabbriellini), – attore che ha fatto della dolcezza il proprio stampo recitativo più marcato – e da Clara (Elena Radonicich), che invece è determinata a restare. 
 
Sembrerebbero due prospettive opposte; ma si sa che una delle lezioni di questa epoca è proprio il fatto che anche quando si decide di rimanere – in senso materiale e simbolico – se tutto intorno a te continua a muoversi è comunque difficile conservare uno status granitico e ancorato alle proprie certezze.

E allora qui si prova a raccontare il senso di spaesamento di una generazione ‘migrante’ che finisce così per incrociare le rotte con alcuni popoli – qui il punto di riferimento è l’Europa dell’Est - che per tradizione storica si sono sempre mossi in senso contrario. Dalla patria al Belpaese cercando la realizzazione di un sogno di felicità.

 
I migranti adesso siamo noi; e questo processo rivoluziona tutto. E implica per esempio, anche la comprensione – spesso dolorosa – che confinare il proprio benessere a concetti come posto fisso, relazioni stabili, patria - possa essere un obbiettivo illusorio quanto irraggiungibile. Allora Banat di fronte alle domande di sempre risponde con ritmo originale e un romanticismo tutto stralunato. 
 
In questo senso immagina come si possa vivere un sentimento che un tempo nasceva con grandi quantità di tempo a disposizione e con il privilegio della vicinanza fisica e che adesso deve imparare invece a riconoscersi velocemente; prima di un successivo cambio di nazionalità, prima dell’ennesimo spostamento. 
 
Come si fa allora? Il film cerca le risposte in un registro di malinconica leggerezza, nell’ironia, nella capacità di restituire un messaggio di vita che cerchi di viaggiare di porto in porto godendosi l’incertezza della traversata. E allora emerge anche un senso di rivincita, di positività, di identità forte rispetto ai dogmi della generazione precedente.

Perché quest’ultima avrà pur vissuto con un'idea diversa del tempo e della procrastinazione - colta in un senso non così negativo come avviene oggi - ma in Banat al contrario, la prospettiva di vita giocata sul millesimo di secondo viene rivestita di bellezza e dignità. Bella prova. 
    
Banat [il viaggio], in concorso nella sezione “ItaliaFilmFest/Opere prime e seconde” alla 7.a edizione del BIF&ST – Bari International Film Festival, sarà in sala a partire dal 7 aprile distribuito da Movimento Film.
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