D – Come mai ha deciso di confrontarsi con un genere ben specifico come il noir?
A.E. – La storia di “Where the Truth Lies” racconta una serie di personaggi che rimangono incastrati tra gli ingranaggi di un macchina che gioca con i loro destini; su di loro ho voluto creare uno stile visivo molto preciso, in grado di dare un ritmo diverso rispetto ai miei film precedenti. Stavolta ho voluto privilegiare soprattutto i volti e la recitazione degli attori.
D – Lei ha uno stile visivo molto libero nell’ideare i suoi film. Come lo ha adattato a “Where the Truth Lies”?
A.E. – Mi sono documentato vedendo molti thriller: la caratteristica principale di queste pellicole è una sorta di fede, un atteggiamento preciso dei protagonisti di fronte al destino. I personaggi di un thriller si trovano di solito incastrati in un meccanismo: la peculiarità del mio film è che loro stessi a crearlo. Io poi amo l’idea che lo spettatore si identifichi con essi, nell’osservare cioè queste figure che cercano di manipolare gli eventi, ma in realtà sono a loro volta manipolati. Più che di un approccio visivo avevo perciò bisogno di una filosofia morale. La differenza più forte rispetto ai miei film precedenti è stato in questo caso l’utilizzo di una musica più aggressiva. Le scelte di regia sono state precise, ma del tutto consequenziali a quest’idea.
D – La storia del film è molto stratificata, vi sono molti sub-plot oltre quello principale. Preferisce questo tipo di racconto?
A.E. - In ogni film io cerco di situarmi come un possibile spettatore. A sua volta però lo spettatore secondo me ha la responsabilità di porsi nei confronti del film come se fosse lui l’autore. Questo mi appassiona del mio lavoro. Per questo amo scrivere sceneggiature: anche una storia lineare non è interessante se non ha dettagli o sfaccettature che la rendono viva. A me piace partire da una storia per arrivare alla vita intima dei personaggi.
D – Il film tende a scoprire una parte del mondo dello show-business…
K.B. – Quello che mi ha colpito girando questo film è il modo in cui viene trattata la celebrità, e cioè con un atteggiamento molto franco, onesto. Negli Stati Uniti le celebrità si credono onnipotenti, pensano di poter fare tutto, di sicuro non hanno gli stessi codici morali che può avere una persona normale. Per me questo aspetto è stato molto affascinante: recitare poi il ruolo di un attore è stata in fondo una doppia recitazione…
D – Il film mescola con sapienza molti punti di vista e racconta diverse verità, almeno fino al raggiungimento di quella definitiva. Come ha costruito questo intreccio?
A.E. – L’idea era quella di proporre diverse versioni di una sola realtà, ed ognuna di essere doveva accompagnare un determinato personaggio. Karen, la giornalista che indaga sull’omicidio, deve riuscire a cercare la verità attraverso tutte queste differenti storie; gli altri personaggi invece utilizzeranno i loro privilegi per avere acceso e potere controllare determinate informazioni. Alla fine però nessuno può davvero avere il controllo della realtà, di quello che succede: la caratteristica che frustra i miei personaggi è proprio questa ricerca di controllo che però sfocia in impotenza.
D. – La sessualità, l’attrazione è quello che lega un po’ tutti i personaggi in scena…
K.B. – Beh, si, c’è molto sesso nel film…Non so cos’altro dire…Per fortuna c’è molto sesso nel mondo, non solo in questo film…
A.E. – Sono sempre stato affascinato da quest’idea del sesso come estensione dell’intimità. La sessualità però può anche servire come sfondo, come scenografia di una scena; ci sono dei personaggi del film che sono puro piacere, ma la sessualità in questo caso somiglia molto a quella di De Sade: viene usata per altri fini.
K.B. – Certo. Nel film la sessualità è vista come potere, per questo è importante.
D – Hai dovuto sviluppare un rapporto particolare per recitare insieme a Colin Firth? Soprattutto negli aspetti comici del film, come avete costruito questo rapporto?
K.B. – In realtà già nel copione c’erano delle indicazioni per entrambi. Atom ci ha lasciato molta libertà nello sviluppare questa relazione; abbiamo parlato molto di come interpretare la nostra amicizia: io ero spaventato, perché di certo non sono un comico; non conoscendo perciò questo tipo di ruolo, avevo bisogno di riferimenti, quindi in fondo ero spaventato dalla libertà che mi era stata concessa. Ovviamente insieme a Colin ci siamo ispirati a dei modelli di coppie comiche da seguire, ed alla fine abbiamo studiato molto Dean Martin e Jerry Lewis.
D – Come mai ha scelto di raccontare la vita e la società americana degli anni ’60 e ‘70?
A.E. - Sono cresciuto in quel periodo, ed avevo determinate idee sulle celebrità. La storia di questa giornalista che si scontra con la vita pubblica e privata di queste due celebrità mi ha interessato molto. I lati oscuri, quello che succede inaspettatamente nel rapporto tra i tre mi ha intrigato.
D – Il film mostra spetti negativi della società americana.
A.E. – Certo, vi sono delle correnti soggiacenti molto pessimiste nel film, ma ad esempio il finale è invece ottimista. Come in molti dei miei film, i protagonisti attraversano delle zone buie, ma poi rinascono alla speranza. “Where the Truth Lies” non vuole condannare una società, ma piuttosto vuole mostrare alcuni aspetti di un modo di vita, in cui un abuso di un privilegio come la celebrità può corrompere. Un tipo di cultura come quella americana in questo senso è più facile da mettere in scena, poiché si basa su un enorme potere dei media. Secondo me la cultura americana attraverso essi si auto-esamina…
D – Tu interpreti un attore che ad un certo punto perde tutto: tu hai mai pensato a come potrebbe essere la tua vita in caso di insuccessi futuri?
K.B. – Io ero famoso quindici anni fa e sono ancora famoso…Però preferisco toccare ferro…
D – “Where the Truth Lies” è un’opera molto esplicita. Come affronterà la censura americana?
A.E. – Non mi interessa. Il mio film è molto intimo oltre che sensuale. E’ tutto un mondo che si crea ed a ciò partecipa ad esempio anche la musica, la fotografia e tutto il resto, non solo la nudità o il sesso. Volevo che il film fosse aperto, che scegliesse da solo la propria direzione rispetto alla sensualità ed all’intimità. Penso di esserci riuscito.


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12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani