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'Asi es la vida'
'Asi es la vida'

19.04.2001 - Autore: Beatrice Rutiloni
Julia (Arcelia Ramirez) è stata abbandonata dal marito, Nicolas (Luis Felipe Trovar). La donna, che di professione opera fatture e aborti clandestini, si ritrova sola, in una città che non è la sua, con i due figli. Nicolas si è innamorato della figlia di un boss (La Marrana Ernesto Yanez) del quartiere popolare di Città del Messico, e sta per risposarsi con lei. A Julia, in breve tempo, viene tolto tutto, compresa la casa: Marrana, infatti, la vuole lontana e la obbliga a trasferirsi in un altro luogo, per non intralciare lamore di sua figlia. Il solo conforto le viene dalla madrina Adela, che ha lasciato tutto per seguirla a Città del Messico, e badare a lei e ai suoi bambini. E Adela ad esortarla a fare ritorno alla casa paterna, dove Julia aveva vita migliore. Ma il dolore della donna è intollerabile, intriso di autolesionismi e allucinazioni. Proprio il giorno delle nozze, Julia, infierirà sul frutto di quellamore ora rinnegato, uccidendo i suoi stessi figli, nellintento di spezzare per sempre il legame di sangue che la teneva unita al marito.
Il commento
...se questa è la vita! Eppure, da qualche parte, nel profondo dei nervi, sappiamo che è proprio così. Asi es la vida è liberamente ispirato alla tragedia greca della Medea, trasferito a Città del Messico, e girato interamente in digitale. Sono tre gli elementi che generano spontaneamente altrettanti aggettivi per questo film: ancestralmente inquietante, fisicamente sporco, visivamente allucinante. Un pugno nello stomaco. Un ovosodo che si ferma a metà gola e non va né su, né giù, citando Virzì. Una di quelle cose che ti scuote il sistema nervoso per parecchio tempo. Il regista Arturo Ripstein, che dagli esordi come aiuto di Bunuel né Langelo sterminatore ad oggi ha firmato 22 pellicole, tra cui ricordiamo Profundo Carmesi, Foxtrot e il recente Nessuno scrive al colonnello, ha affidato la sceneggiatura del suo ultimo film alla moglie Paz Alicia Garciadiego, e, in effetti, solo una donna poteva cogliere certe sfumature uterine nellossessione dellabbandono damore. Come la scena dei bambini, un maschio e una femmina, addormentati sul letto matrimoniale in posizione raggomitolata, quasi due feti nella pancia, o il loro stesso mutismo: durante tutto il film non li sentiamo emettere suono, grido, pianto, come a dire che il dolore della madre urla troppo, così tanto da soffocare qualsiasi altra parola. Solo rumore di imminente tempesta, vento che spazza, rubinetti che perdono, e, ogni tanto, la televisione, dove si materializzano uscendo dallo schermo Anselmo Fuentes e la sua orchestra che cantano, come un coro greco, la tragedia della povera Julia, abbandonata dal marito. Che Ripstein controlli la materia sgradevole come pochi non è una novità. Già in Profundo Carmesi era evidente. Ma qui, innervato dalluso sapiente del digitale che contribuisce al senso di vera inquietitudine della vicenda, si affida visivamente a unorgia di colori ansiosi, gialli ocra o senape, il metallo dei ferri ostetrici, il grigio verde delle pareti sporche; un disordine che impera dovunque, la costante di abiti dimessi, vestaglie, pantofole, e sopra tutto, alla fine, il sangue, prima accennato negli autolesionismi di Julia, poi confermato nelle ferite mortali inferte ai due figli, atto finale liberatorio per la donna, imprigionata nel proprio dolore fino alla follia. Se fossimo in epoca lo definiremmo un film (solo un po) pulp, con lelemento classico centrale che certo gli conferisce un tono morale più alto. Sentiamo una certa vicinanza di gusto macabro, sudato e sporco con laltro recente messicano digitalizzato, di tuttaltra specie, che è Amores Perros. Che sia nata una nuova corrente Mexican Pulp?
Il giudizio
Una Medea in salsa messicana, attualizzata dalla splendida regia in digitale di Ripstein. Finalmente il supporto elettronico usato in modo visionario. Forse il suo migliore utilizzo.