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American Life - La nostra recensione

Sam Mendes firma un lavoro intimista e indie senza grande originalità di forma o contenuto

American Life - John Krasinski e Maya Rudolph

20.12.2010 - Autore: Andrea D'Addio
A distanza da più di un anno dalla distribuzione americana, arriva anche da noi “American Life”, il “piccolo” film di Sam Mendes, regista  premiato fin dal proprio debutto – “American Beauty” – con l’Oscar al migliore film e da allora sempre impegnato in produzioni grandi e ambiziose. Per ritornare a sentirsi padre e padrone di un progetto che non richiedesse un grande budget e, di conseguenza, non avesse il riscontro al box office come obiettivo primario, Mendes ha deciso di affidarsi a due delle migliori penne della narrativa contemporanea americana: Dave Eggers e la sua compagna Vendela Vida.

Il risultato è una sceneggiatura che tanto richiama i soliti canoni del cinema indipendente americano, quello che da una dozzina di anni cerca di raccontare gli Stati Uniti partendo dalla provincia, uomini e donne che non riescono più a trovare il proprio posto in un Paese così pieno di contraddizioni e falsi miti. Sono queste le ragioni che ci hanno spinto a utilizzare le virgolette intorno alla parola “piccolo” con cui abbiamo aperto la recensione. Produzione piccola, cast di misconosciuti, storia intima. Il totale però è un’ambizione alta, se non altissima: fare analisi sociale, dimostrare uno spaesamento individuale che nasce prima di tutto dalla propria superiorità non tanto culturale, ma di intelligenza in generale.

Sam Mendes sul set di American Life

I due protagonisti di “American Life” (titolo scelto dai distributori italiani per pubblicizzare che si tratta dello stesso autore della pellicola con Kevin Spacey, mentre in originale è “Away We Go” ), non sono degli intellettuali, ma gente comune che ha assunto una prospettiva di vita diversa da tutti gli altri.  Non si sentono legati a nessun posto in particolare, soprattutto da quando i genitori di lui hanno deciso di trasferirsi in Europa, e così, decidono di attraversare la nazione alla ricerca del migliore luogo dove far crescere il figlio che lei porta in grembo. Si ritrovano a fare visita ad amici e familiari sparsi nei vari angoli degli Stati Uniti, sperando ogni volta di trovare la soluzione al loro grande problema. Peccato però che tutti gli incontri che fanno si rivelino delle delusioni. Anche la coppia di amici che sembra funzionare meglio, nasconde in realtà un malessere generale che non promette niente di buono per in futuro. Che fare? Dove andare a vivere e come impostare la propria famiglia?

Maya Rudolph e John Krasinski in American Life

Per arrivare alla più scontata delle conclusioni, Mendes e la coppia di suoi sceneggiatori tratteggiano una serie di situazioni piuttosto banali quanto ad introspezione e significati. In un Paese diviso tra repubblicani e democratici, il cinema che si vuole atteggiare davvero ad indipendente, cerca di prendere le distanze da entrambi, ma per farlo finisce per utilizzare a sua volta una serie di cliché. La sensazione è quella che si viaggiando alla scoperta di chi ha dato a Bush il secondo mandato, colpevoli o per averlo votato o per non aver fatto la giusta opposizione. Per fortuna, all’interno di uno schema narrativo piuttosto deludente se si pensa alle firme che lo accompagnano, sono molte le scene ben scritte e girate. Su tutto, emerge l’affiatamento che lega i due protagonisti, uniti in un amore che sembra davvero dargli la forza di portarli ovunque, al di là di qualsiasi avversità e assurdità. Alcuni momenti di alleggerimento, coma la cena a casa del personaggio interpretato da Maggie Gyllenhall, riescono dove il resto del film fallisce: dare un tono originale e sostenuto a qualcosa altrimenti non troppo interessante, almeno per noi europei che uno sguardo disincantato sugli USA lo abbiamo da anni.

Maggie Gyllenhaal in American Life

Ciò che viene da pensare alla fine, è che nonostante le buone intenzioni, il cinema indipendente americano si stia un po’ sedendo sugli allori di una critica e apprezzamento generale che per anni li ha sostenuti, ma che potrebbero ben presto voltargli le spalle. Possibile che un film indipendente, attuale, ma allo stesso tempo piacevole come “Juno” non riesca a fare proseliti? Possibile che davanti a certi film, come purtroppo capita anche per “American Life”, si finisca con il guardare periodicamente l’orologio nonostante duri solamente cento minuti?

"American Life" è distribuito nei cinema dalla BIM

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