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120 battiti al minuto, recensione: l’universo del malato-attivista è una storia appassionante 

Nonostante la censura arriva nelle sale il film che emoziona con un ritratto ampio della condizione dei malati di AIDS nei primi anni ‘90

120 battiti al minuto

120 battiti al minuto

06.10.2017 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Il film di Robin Campillo esce nelle sale accompagnato da un’indicazione pesante: il divieto di visione ai minori di 14 anni. Da quali rischi si vuole cercare di proteggere un così vasto gruppo di minori? Cosa c’è all'interno della pellicola premiata a Cannes e candidata per la Francia alla corsa degli Oscar, che deve essere in qualche modo taciuto alle coscienze non troppo formate? L’idea è sicuramente quella di preservare i più giovani dall’impatto di un dramma molto duro che racconta la difficile condizione dei malati di AIDS negli anni '90. La malattia e soprattutto l'attivismo sono filtrati attraverso il punto di vista dell’associazione francese nata a difesa dei diritti dei malati Act Up. E di certo, a voler per un attimo motivare la sensatezza della censura, siamo di fronte a un film che non si accontenta di nascondere nulla allo spettatore. Non è un film parsimonioso nel mostrare l’orrore della malattia, lo sfaldarsi del corpo, l’incoscienza tragica di vivere il sesso senza percezione dei rischi connessi alle malattie sessualmente trasmissibili, né tantomeno è un’opera cauta (perché dovrebbe?) nel raccontare la leggerezza dell'eros e il disinteresse della classe politica di allora. Ed è sicuramente vero che c’è qualcosa di brutalmente sincero in tutto questo, ma è anche chiaro che la pornografia visuale del film non è mai fine a se stessa. Al contrario, essa sta lì a ricordarci che l’informazione è controllo e che solo rimanendo a conoscenza di tutti i rischi derivati dalle malattie sessualmente trasmissibili, quel dolore sordo e cieco che molti malati hanno vissuto negli anni ’90 stenterà a ripetersi con la stessa forza tragica. Con questo stile poi, ci trascina dentro le vicende e non ci lascia mai andare. 


 
Un malato-attivista, ci urla questo film in ogni fotogramma, non è solo la sua malattia. Un malato-attivista è un individuo che lotta contro la solitudine, contro lo stigma del morbo, contro l’indifferenza delle case farmaceutiche e contro un potere politico ed economico che al tempo stava agendo troppo lentamente per migliorare la salute dei malati e altrettando debolmente cercava di fermare l’epidemia. 
 
Un malato 'semplice' può sentirsi solo, ma un attivista di Act Up ha la sua grande famiglia che si riunisce settimanalmente per autogestirsi nella lotta e in parte auto-consolarsi nell'abbraccio di questo o di quel compagno. Insomma è un organismo particolare; fatto di privato e pubblico al tempo stesso. Inoltre Campillo, e questa è la sua forza, per dare veridicità al suo racconto decide di abbracciare una dimensione estesa non solo dal punto di vista del numero dei personaggi in scena. C'è anche la grandezza dell'estensione temporale del film, di stagione in stagione, a dare complessità. Si passa insomma dal raccontare il vigore della gioventù e l’enfasi della lotta, all’intristirsi per la debolezza di un entusiasmo che si perde nel vedere che nonostante l’impegno profuso la malattia avanza e la politica è sorda.

Eppure alla fine nello spettatore non rimane per niente un senso di sconfitta. Soprattutto se le azioni di Act Up sono calate all’interno di una prospettiva storica più ampia. Perché molto è cambiato oggi grazie alla vitalità e all’impegno civile di tanti attivisti e malati. Così, mentre il film finisce e in una scena conclusiva un pulviscolo di fluidi corporei e luce attraversa l’aria marcando definitivamente il confine tra noi e loro, la malinconia che sentiamo è anche la nostra. Alla fine ci sembra che questi guerrieri, pacifici, eccentrici, con le piume e con i megafoni, non siano stati in fondo meno coraggiosi o meno incisivi di quelli che abbiamo visto a lungo combattere con giubbotti antiproiettile e armi da fuoco. Per altre cause certo, con altri metodi. Perché vietare ai più giovani la possibilità di imparare e di proteggersi (anche) attraverso il cinema? 

120 battiti al minuto, in uscita il 5 ottobre, è distribuito da Teodora Film.