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Un'irreprimibile vocazione off Hollywood

Come Woody Allen, e come Barton Fink, Turturro detesta Hollywood.

Turturro

12.04.2007 - Autore: Alessandra Taddei
Capelli crespi, naso prominente, sguardo febbricitante: con una faccia così, un mix di connotati lontanissimo dal cliché wasp modello Costner-Pitt, John Turturro era già candidato ad un cinema di minoranza prima ancora che fosse lui stesso a votarvisi, preferendo sempre lavorare in situazioni il più possibile indipendenti. Nato a New York nel 1957 e cresciuto nel malfamato Queens, Turturro, di ormai remote origini pugliesi, sceglie ben presto di calcare il palcoscenico. Alla Yale studia teatro, ma a ventitré anni debutta sul grande schermo, una particina in Toro scatenato di Scorsese, che poi lo rivorrà per la sequenza iniziale del Colore dei soldi. Dalle semplici apparizioni a ruoli più sostanziosi, per quanto sempre di contorno, Turturro fa in tempo a sperimentare la commedia yuppie di gran moda a metà degli anni Ottanta, lavorando con Garry Marshall in Flamingo Kid e a fianco di Madonna in Cercasi Susan disperatamente. Litaloamericanità non lo vincola alleredità ingombrante del goodfella; di fatto, si trova a vestire i panni eleganti delluomo donore solo alla fine del decennio, nel Siciliano di Cimino e nel geniale Crocevia della morte di Joel Coen, con il quale il gangster film viene disarticolato e ricomposto dimostrando unelasticità fino ad allora insospettata. Turturro lavora con i più grandi nomi del cinema della costa est, da Woody Allen a Spike Lee agli eredi inquietanti e stralunati del nuovo cinema newyorchese, Tom Di Cillo e i fratelli Coen, appunto, il cui Barton Fink lo consacra nel 91 interprete per eccellenza del cinema americano di maggiori pretese intellettuali. Pioggia di premi a Cannes per la storia di un commediografo di talento, timido e avviluppato in asfissianti visioni oniriche, costretto a confrontarsi con le frustranti imposizioni dello showbiz hollywoodiano. E Turturro continua nel decennio seguente a perseguire la strada delle piccole produzioni dalle idee forti, anche a costo di rimetterci in termini di visibilità nei confronti del grande pubblico. Oggi, ha anche due prove registiche di buon livello alle spalle: Mac, dedicato al padre carpentiere, sul mondo degli immigrati, lavoratori incalliti alle prese con irrisolvibili problemi etici, ed il più recente Illuminata, in cui si è fatto condizionare dai giochi metalinguistici dei fratelli Coen nel costruire la storia di una rappresentazione teatrale difficoltosa ma alla fine coronata dal successo, in cui realtà e finzione si mischiano continuamente. Eppure, non esita a mettersi in gioco nella commedia di un quasi esordiente, Luomo di Talbot di Arto Paragamian, una produzione canadese peraltro già premiata a Taormina (miglior regia e migliore attore). Come Woody Allen, e come Barton Fink, Turturro detesta Hollywood. Indirizzato dalla sua alterità fisiognomica a scelte alternative, con la tenacia di un pitbull si butta da sempre, anima e cuore, nel cinema indipendente: se non avessi avuto successo - afferma convinto - farei teatro off Bradway. Tutto, pur di non rinunciare al margine creativo che gli amici registi volentieri gli concedono; tutto, pur di non piegarsi alla norma delle superproduzioni standardizzate e anonime.  
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