Finora le eccezioni erano state soltanto due. "La Leggenda Del Re Pescatore", cui George Fenton aveva garantito un perfetto commento, e "L’Esercito Delle 12 Scimmie",
attraversato dalla particolare rivisitazione piazzollana di Paul
Buckmaster. Per il resto, la maggiore affinità in fatto di musica e
immagini Terry Gilliam l’aveva grandemente trovata con Michael Kamen. Certo, definire collaborazione l’esperienza maturata a fronte di due soli film, "Brazil" e "Le Avventure Del Barone Di Munchausen" (gli interventi di riempimento per "Paura e Delirio a Las Vegas",
in coppia con Ry Cooper, rischiano di non fare testo tanta la loro
brevità e indeterminatezza), potrebbe contrariare i più, che in questo
senso potrebbero giustamente obiettare una fraintendimento in termini:
magari le vere eccezioni sono state proprio quelle di Kamen, chiamato
in via del tutto straordinaria a dettagliare in musica le due sole
opere consecutive affidate al medesimo musicista da un regista
normalmente interessato al cambiamento. Eppure rimane incontestabile la
profonda comprensione che il musicista prematuramente scomparso riuscì
ad evidenziare per i bizzarri territori dell’ex-Monty Python,
per le profondità viscerali del suo materiale umano, per
l’incontestabile originalità narrativa deformante sempre in bilico tra
fiaba e delirio, tra incubo e candore. Anche e soprattutto per questo,
la brevità della collaborazione paragonata al valore dei risultati può
far cadere in simili approssimazioni.
Non è dato sapere se i due meditassero, negli ultimi anni, l’idea di
una nuova riunione artistica. Il forzato abbandono dell’incompiuto
progetto su Don Chisciotte
non arrivò mai in fase di post-produzione e la lunga assenza di Gilliam
dagli schermi seguitane ha definitivamente dissipato ogni speranza lo
scorso anno con il sopraggiungere della morte del compositore.
Impossibile non pensare però a quanto il colorato tratto di Kamen si
sarebbe rivelato congeniale alla ‘Favole delle favole’ con cui il
regista ha deciso di tornare al cinema. Si sa che la sua prima scelta
era stata Goran Bregovic, favorito soprattutto dal bisogno di
materiale folcloristico-zigano per una parte consistente del
lungometraggio. Si sa della successiva necessità di virare verso uno
scenario maggiormente sinfonico per meglio accordarsi all’ampiezza
grafica e scenografica del film ultimato. Si apprende ora, ascoltando
il densissimo lavoro svolto dal newcomer Dario Marianelli, che l’ultima scelta del regista ha reso ancora una volta giustizia al suo intuito audio-visivo.
Massiccia e poderosa nel suo enfatico grandeur compositivo,
melodicamente sufficiente ad evidenziare due temi portanti (una
minacciosa marcia dal sapore vagamente decadente, presentato
nell’iniziale “Dickensian Beginnings”, e un motivo più subdolo per la
foresta malvagia e incantatrice) tra le fitte e soverchianti strutture
ritmiche, questa prima prova nel mainstream di Marianelli è promettente
e assolutamente riuscita. L’approccio orchestrale sicuro e già
screziato di notevoli indicazioni di personalità poggia fortemente
sull’impasto degli ottoni (non di rado capaci di una violenza
paragonabile al Goldenthal più selvaggio), sul cangiante utilizzo degli
archi – dagli ampi veli magniloquenti di “And They Lived Happily Ever
After” al tagliente e ipnotico trattamento herrmanniano di “A Slice Of
Quinche Would Be Nice” e “The Eclipse Begins”(con evidenti memorie
arpeggianti de La Donna Che Visse Due Volte) – sul partecipe,
interessante uso della compagine corale (l’efficace London Oratory
School Schola impreziosito dalle parti soliste di Dessislava Stefanova)
e, non ultimo, su un’inventiva percussionistica che, complice l’apporto
degli specialisti Simon Allen e Paul Clarvis
(responsabili della creazione di strumenti appositamente pensati per lo
score), favorisce un parallelismo con l’originalità strumentale
goldsmithiana.
In un perfetto risultato di affiatamento alle immagini, così come i due
celebri fratelli protagonisti si avventurano tra toni macabri e squarci
fantasiosi, la musica di Marianelli entra ed esce da sconvolgimenti
melodici, sconquassi di proporzioni operistiche e sviluppi imprevisti
che ingoiano frammenti di nenie in tumultuosi ostinato a tutta
orchestra, senza risparmiare al turbamento chiaroscurale neppure le
citazioni classiche di Brahms e Rossini.
E la gestione ritmica, l’esuberanza timbrica e la dettagliata capacità
narrativa si fondono in perfetta funzionalità nel brano “The Forest
Comes To Life”, vero excursus dimostrativo dell’intera partitura.
Pisano d’origine ma formatosi a Londra presso il Guildhall School of
Music, con al suo attivo già una serie di lungometraggi e prodotti
televisivi, Dario Marianelli è un rinfrescante toccasana nel fitto
bosco di emergenti hollywoodiani, che troppo spesso il blasonato sound
Media Ventures tende a plagiare. Attento alla scelta di collaboratori
di prim’ordine (in primis
l’orchestratore e direttore d’orchestra Benjamin Wallfisch) la sua
predisposizione al classicismo non tarderà a riemergere nella colonna
sonora dell’imminente "Pride & Prejudice". Per il momento si può solo aggiungere che Gilliam ha fatto la scelta giusta.


NOTIZIE
Tetre fiabe sinfoniche
L'emergente compositore Dario Marianelli nobilita l'ultimo Gilliam ("I fratelli Grimm") con un perfetto risultato di affiatamento tra musica e immagini

12.04.2007 - Autore: Giuliano Tomassacci