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Sweet Sixteen

Una storia amara, dura, secondo lo stile cui ormai il regista ci ha abituato.

sweet sixteen

12.04.2007 - Autore: Luigi Sardiello - Filmaker's Magazine
Liam sta per compiere sedici anni e vorrebbe farsi un regalo: una vita serena, in una casa dove poter vivere senza problemi con la mamma, che tra pochi giorni uscirà di prigione. Ma quello che sembrerebbe semplicissimo per "gente normale", per Liam e la madre presenta problemi insormontabili. Il lavoro non c'è, tanto meno il denaro e i rapporti con suo nonno e il compagno della madre non sono semplicissimi. Ma Liam è disposto a tutto per realizzare il suo sogno. E questo tutto vuol dire una serie di guai, e una serie di scelte, che lo porteranno fino a un drammatico baratro. La soluzione ci sarebbe: andar via. Solo che Liam il suo sogno, stavolta, non vuole proprio abbandonarlo...   Questa in sintesi la storia di "Sweet Sixteen". Amara, dura, secondo lo stile cui ormai Ken Loach ci ha abituato. Uno stile mai retorico, che entra nei sentimenti senza essere sentimentale, con un lavoro straordinario su attori non professionisti, a cominciare dal giovanissimo e straordinario Martin Compston.   E a chi continuerà a obiettargli di fare sempre lo stesso film, con lo stesso tema (i problemi della working class), gli stessi personaggi (disoccupati, emarginati, poveri) e la stessa morale (tutte le persone, viste da vicino, hanno i loro buoni motivi), bisogna rispondere che questo è il rischio di tutte le persone che hanno un sogno.   Un sogno che Loach persegue dal 1964 (erano i tempi di di "Up the Junction", e poi di "Poor Cow" e "Family Life") e che ha continuato a inseguire passando per "Riff Raff", "Raining Stones", "Ladybird Ladybird", fino all'ultimo "Paul, Mick e gli altri" incredibilmente ignorato dalla giuria dell'ultimo festival di Venezia. Perché chi ha un sogno, un'etica, una passione, li persegue a testa bassa, con cieca e infallibile dedizione. Esattamente come Liam.
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