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Sokurov il grande

Aleksandr Sokurov pare un contadino russo. La faccia tonda e rossa, i capelli brizzolati che sembrano un casco. A Roma per presentare il suo ultimo film "Il sole" ci ha parlato del suo cinema

Aleksandr Sokurov

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
Aleksandr Sokurov pare un contadino russo. La faccia tonda e rossa, i capelli brizzolati che sembrano un casco. Si siede a una tavola rotonda e chiede di sapere chi sono i giornalisti intorno a lui. Con curiosità incomprensibile, ascolta nomi e testate. Ha l’orecchio attento di chi è sinceramente interessato a sapere con chi si farà quattro chiacchiere. Una scena che racconta molto della sua umanità, e in fondo anche del suo cinema.

Cosa pensa del suo cinema?
“Mi rendo conto che ogni mio film è imperfetto e pieno di errori. E’ nata la trilogia proprio nella speranza che da un film all’altro possa migliorare sia nel contenuto che nella forma. Riesco a fare solo il 60% di quello che vorrei fare come regista. Ogni volta ci sono problemi tecnici, di documentazione o finanziari che non riesco a risolvere”.  

C’è una luce speciale nel suo ultimo film. Pare densa e liquida nello stesso tempo. E’ decolorata senza essere piatta. C’è stato un grande lavoro dietro?
“Se vi capitasse di visitare i miei set, sareste sorpresi dalla quantità dell'attrezzatura presente. Nello spazio di 40 metri quadri, cioè di un normale teatro di posa, c'erano fino a sessanta attrezzi solo per l'illuminazione, dai più grandi fino ai più piccoli per illuminare i dettagli più minuti, magari solo per rendere trasparenti le orecchie dei personaggi. Poi spesso mi sono trovato ad usare strumenti ottici realizzati appositamente o superfici riflettenti. Fortunatamente abbiamo lavorato con attori giapponesi che hanno dimostrato grande pazienza e sensibilità, e che a volte hanno aspettato delle ore perché noi riuscissimo a trovare la luce della qualità che volevamo ottenere. A volte basta un semplice movimento di macchina per cambiare istantaneamente la resa sullo schermo”.  

Il suo cinema è di forte impronta pittorica, e nell’Arca Russa pareva di vedere un quadro dentro un quadro. Ne Il Sole come ha lavorato da questo punto di vista?
“Noi possiamo studiare solo dal punto di vista pittorico. Il problema del cinema è che mentre hai reso quasi perfetta la tua inquadratura, la sceneggiatura vuole che l’attore si alzi. Un pittore si metterebbe a fare un altro quadro, invece il cinema è legato al tempo. Bisogna fare 25 quadri in un secondo. Come mantenere l’arte pittorica al cinema? Per fare un film bisogna creare milioni di quadri. Allora uno viene preso dal panico e si crede schizofrenico. Ma nessuno si crea il problema di raggiungere un risultato artistico in ogni inquadratura”.  

Firmi il film anche come direttore della fotografia.
“Sono anche il direttore della fotografia solo perché non riuscivo a spiegare bene quello che volevo e non riuscivo neppure a trovare qualcuno che lavorasse in maniera così fanatica e routinaria. In Russia non c’è nessuno in grado di farlo. Non so in Europa, ma di certo costerebbe troppo”.  


Ti spingi tra le pieghe delle grandi pagine di storia in cerca dell’universo personale dei grandi uomini di potere. Pensi che la storia si faccia davvero là?
“Sono stato amico di Eltsin. Ho visto come si prendono le decisioni, l’importanza che ha il carattere prima di tutto. Prima anche delle sue idee. Più l’eroe è importante più mi interessa il suo carattere. Il carattere è l’elemento principale. Il carattere è una fonte inesauribile da cui attingere ispirazione artistica. Io non faccio film sui dittatori, ma faccio film su coloro che hanno mostrato una personalità eccezionale rispetto a tutti gli altri. Esso apparivano come coloro in grado di avere un il potere decisionale. Ma la fragilità umana e la passione influenzarono le loro azioni più che la loro condizione e le circostanze. Le qualità umane e il carattere sono più importanti di qualsiasi circostanza storica”.


E allora la sua trilogia del potere scatena delle domande laceranti sul modo in cui salgono al potere gli uomini.         "Già! Molti uomini si ritengono più grandi, più sapienti, e allora perché commettono errori così enormi? Come può succedere che il potere venga conferito a uomini da tratti caratteriali così ridotti? Il potere si concentra nelle mani di uomini poco accorti ed infelici. Perché la gente non si accorge di dare il potere ad uomini infelici? Hitler si affogava nei suoi complessi. Lenin aveva una formazione non riuscita, la sua carriera era iniziata in maniera disastrosa, così come l'attività rivoluzionaria, aveva problemi in famiglia ed anche il suo matrimonio è stato un disastro. E non ha avuto paura di assumere il potere. Ed è noto che era impreparato a questo. Coloro che erano nella cerchia di Hitler sapevano benissimo dei suoi complessi”.

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