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Sinfonia per una Geisha

Scenari orientali per il John Williams del Golden Globe: Ampia, alternativamente suadente e tormentata, passionale ma allo stesso tempo dimessa e raccolta, quando non addirittura graniticamente trattenuta

Memorie di una Geisha

12.04.2007 - Autore: Giuliano Tomassacci
L’establishment hollywoodiano ama John Williams. Non potrebbe essere altrimenti: impossibile infatti per l’America non riconoscere debitamente un musicista che sempre più denota la sua triplice rilevanza culturale: l’ultimo depositario di una tradizione cine-musicale orami al tramonto (dopo il commiato di Jerry Goldsmith ed Elmer Bernstein), il compositore specializzato per eccellenza e, conseguentemente, uno tra i massimi esponenti della contemporaneità sinfonica. E se qualche dubbio alla coerenza e alla profondità di questa venerabilità dovesse sopraggiungere, basterà scorrere l’eclatante ammontare di tributi (tra nomination e premi effettivamente ottenuti) conferiti al musicista newyorkese nell’arco di un quarantennio di impeccabile carriera. A fare testo non è tanto la quantità (già di per se sconcertante) quanto la fedele comprensione dell’operato artistico del musicista, cui l’Academy sembra non aver mai sottratto quella simpatia spesso concessa capricciosamente - a tempo determinato - anche alle più grandi star. Stesso discorso valga per il più “liberal” Golden Globe, stavolta più che mai significativo di una genuina considerazione dell’artista molto più che della sua memorabile icona musicale e dei progressivi mutamenti stilistici sopraggiunti negli ultimi anni. Che comunque ci sono e si sentono.   

Si prenda infatti l’ultima fatica dell’artista, lo score Memoirs of a Geisha, fresco per l’appunto del riconoscimento dei membri della stampa estera. Figlio diretto dell’altrettanto importante commento williamsiano per Sette Anni In Tibet, il sentito contributo musicale al film di Rob Marshall non tarda a dimostrare (sia sulle immagini che all’ascolto isolato) i suoi meriti: plasmato con l’immancabile eleganza formale all’interno di scale e strumentazioni orientali, l’apprezzatissimo tema portante, “Sayuri’s Theme” (che apre e chiude il cd Sony Classical dando anche il la all’impeto degli “End Credits”), è il manifesto melodico delle drammatiche vicissitudini della protagonista Chiyo. Ampia, alternativamente suadente e tormentata, passionale ma allo stesso tempo dimessa e raccolta, quando non addirittura graniticamente trattenuta, la partitura guadagna indiscutibile pregio dagli interpreti d’eccezione Itzhak Perlman (al violino, già con Williams in Schindler’s List) e Yo-Yo Ma (il vibrante violoncello di Sette Anni in Tibet), ai quali Williams offre scritture al limite del sublime in dialoghi solistici di rara intensità. Nessuna novità, dunque: dell’incapacità congenita del compositore a svilire o semplificare anche il più servile dei passaggi si ha conto ormai da tempo, come dell’estrema limpidezza delle orchestrazioni (in questo caso particolarmente circoscritte alla sezione d’archi) e della vena melodica.

Eppure, nonostante tutto, quello di Geisha è un Williams differente, perfettamente aderente ai nuovi canoni che gli  ultimi lustri carrieristici hanno già frequentemente evidenziato. Il rigoglioso, dettagliato sinfonismo “stellare” di memoria lucasiana appare decantato in tratteggi più intimi e talvolta rarefatti, le tinte accese della palette orchestrale sfumate e i virtuosismi addolciti in passaggi dal respiro più lirico (ma non meno denso). Difficile, di fronte ad un artista di tale calibro, parlare di maturazione o sviluppo stilistico. Quel che è certo - e che il nuovo lavoro dimostra - è che qualcosa è cambiato e non limitatamente ai bisogni del film in questione. Ripensando anche ad alcuni interventi dell’ultimo episodio di Star Wars o, ancor prima, alle non proprio soddisfacenti interazioni con lo Spielberg di inizio millennio (A.I, Minority Report e The Terminal) si inquadra un Williams sempre profondamente partecipe all’emozione narrativa  ma insieme distante dalle immagini, quasi astratto. Il paragone con la predilezione alla dilatazione musicale e al distanziamento dal girato di alcuni dei musicisti più celebrati del panorama moderno (James Horner e Thomas Newman in particolare) rischia di attribuire anche al Maestro un sintomatico vizio stilistico che invece non traspare (almeno preponderantemente). Difficile anche parlare, soprattutto in questa evenienza, di una mancanza di sufficiente ispirazione tale da concentrare maggiore attenzione sulla partitura piuttosto che sul film, visto il grande, dichiarato  apprezzamento riservato dal musicista al libro di Arthur Golden originante la sceneggiatura. Forse, è più lecito pensare ad un Williams inconsciamente proiettato molto più alla sala da concerto che all’applicazione cinematografica, quasi invertendo le priorità che in passato aveva attribuito al suo comporre. Forse.

Quel che resta è il valore di un premio che si carica di molteplici valenze - al di là dello specifico apporto cinematografico fino alla condivisibile necessità di coccolare, sottolineare, tributare la portata di uno splendido settantatreenne tutt’altro che stanco di rimettersi in gioco.

John Williams 
Memoirs of a Geisha 
(Sony Classical 82876 74708 2)