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Seven Swords

Per aprire la 62° Mostra del Cinema di Venezia Marco Muller ha scelto una delle più grandi e sfarzose produzioni che l'industria cinematografica orientale abbia mai messo in cantiere

Seven Swords

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Seven Swords, Cina 2005
Di Tsui Hark; con Donnie Yen, Leon Lai, Charlie Young, Sun Honglei, Lu Yi, Kim So Yeun

Per aprire la 62° Mostra del Cinema di Venezia Marco Muller ha scelto una delle più grandi e sfarzose produzioni che l’industria cinematografica orientale abbia mai messo in cantiere, e nel far questo ha allo stesso tempo definitivamente innalzato a rango di autore di calibro internazionale uno dei “maestri” del cinema d’azione d’Hong Kong, il grande Tsui Hark.

“Seven Swords”, opera di cappa e spada ambientata agli inizi del 1660, rappresenta per molti versi la “summa” della poetica visiva e concettuale dell’autore, salvo poi rivelarsi un progetto forse troppo ampio da maneggiare, soprattutto a causa della sua durata (quasi due ore e mezzo). La sceneggiatura del film, tratta dal classico della letteratura di Liang Yu-Shen, si trova a dover maneggiare un’enorme materia narrativa ed una serie sterminata di personaggi: nel trovare il bandolo della matassa, lo script non sempre riesce a bilanciare logicità della storia e dimensione psicologica dei personaggi; questo tipo di sfasatura determina, soprattutto nella prima parte del film, alcuni vistosi rallentamenti del ritmo narrativo che appesantiscono e non poco la fluidità del lungometraggio. “Seven Swords” quindi ci mette molto, forse troppo tempo a partire, salvo comunque regalarci alcune grandi scene d’azione anche nella prima parte del film.

Tsui Hark maneggia la materia con mano solida ed un respiro visivo che molto di avvicina all’epica delle grandi storie: per questo motivo la pellicola si dipana come un grandioso affresco in costume, che in alcuni momenti gira un po’ a vuoto ma si mantiene comunque sugli altissimi livelli di una grande confezione.

 Dove “Seven Swords” si trasforma invece in un capolavoro assoluto è  nell’ultima mezz’ora, quando cioè il regista si è ormai liberato della necessità di dover raccontare, e deve soltanto mettere in scena, cosa in cui di dimostra maestro incontestabile. Nella sequenza memorabile della resa dei conti finale il cinema di cui è capace l’autore viene fuori in tutta la sua potenza espressiva: l’immagine raccoglie come testimone accaldata una serie di danze di pura energia, regalandoci uno spettacolo prezioso non solo nella sua vena pirotecnica, ma in grado di tramutarsi i una stilizzazione stessa del genere. L’estetica dell’ultima parte di “Seven Swords” è a nostro avviso quanto di più importante il cinema d’azione orientale ha saputo regalarci negli ultimi anni, anche rispetto alle produzioni maggiormente orientate verso il pubblico ed il mercato occidentali.

Imperfetto nell’equilibrio narrativo, rallentato e prolisso nella prima metà, quest’ultimo lavoro di Tsui Hark si riscatta ampiamente in un epilogo di rara perfezione formale, in grado si appassionare lo spettatore con la sola forza della visione: cinema adrenalinico ed insieme capace di innalzarsi a manifesto poetico. “Seven Swords” non è un film perfetto, ma possiede potenza espressiva della grande epopea. Sicuramente da vedere.          

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