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Ron Howard

Ron Howard

A Beautiful mind

14.04.2003 - Autore: Luca Perotti
«Se cè un fattore comune nei miei film, credo che sia la curiosità per i personaggi che devono affrontare una perdita o la minaccia di una perdita. Apollo 13, ad esempio, ruota proprio attorno a questo: quegli uomini pensavano di andare sulla luna e si sono poi trovati a fronteggiare la minaccia della perdita di un sogno e persino della vita». A scorrere la filmografia di Ron Howard questa sua dichiarazione risulta verosimile, ma un altro elemento va sottolineato nel parlare della carriera registica di Richie Cunningham, vale a dire la sua quasi totale aderenza al cinema mainstream americano, quello di matrice popolare, democratica, portatore di una medietà di fondo che non lo ha mai lanciato verso apici prestigiosi -almeno prima del trionfo hollywoodiano- né verso clamorosissimi flop.   Cè sempre un sottofondo di nostalgia nelle sue opere, spesso venate di patetismo o di timore ( o incapacità) di rompere gli argini anche davanti ad argomenti scottanti come nel caso di Ed Tv, versione buonista e accomodante di The Truman Show. Del resto Ron Howard appartiene in tutto e per tutto alla cultura televisiva americana avendola percorsa trasversalmente dalletà di cinque anni, e avendo avuto lopportunità di inserire il suo viso in molte celebri serie televisive. Malgrado la calvizie e il prossimo traguardo dei cinquantanni, egli sembra ancora rifiutare di abbandonare laspetto da bravo ragazzo della porta accanto, quello, per intenderci, che sfoderava ai tempi di Happy Days. Il fortunato telefilm nacque nel 1974 proprio in seguito allondata nostalgica verso gli anni cinquanta già anticipata da George Lucas in American Graffiti, nel cui cast figurava proprio Ron Howard.   In seguito, tuttavia, non vi fu per lui una transizione da bambino prodigio ad attore adulto in quanto, grazie allintervento del leggendario Roger Corman che ne finanziò lesordio dietro la cinepresa a soli 23 anni ( Grand Theft Auto, del 77), Ron Howard coronò la sua intenzione di dedicarsi esclusivamente alla regia; una scelta maturata proprio durante la sua precoce carriera dattore : «Non sarei mai diventato un regista se non avessi potuto osservare il lavoro degli altri mentre io recitavo e capire che la mia vera vocazione era stare dietro la macchina da presa».   In questo suo percorso nella notte degli Oscar si è sancito definitivamente il suo nome quale patrimonio indimenticato dello show business americano, anche per la notevole qualità della concorrenza. Vedere Richie Cunningham stringere tra le mani la preziosa statuetta è stato come incastonare un arco di tempo di cinquantanni di cinema e televisione americana in una sola immagine: il culmine di ogni possibile idea e desiderio di nostalgia.