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Nato sul palcoscenico

Giorgio Pasotti

Pasotto

30.04.2001 - Autore: Mario Venditti
Giorgio Pasotti ama la libertà, forse anche per questo ha studiato allestero, ma non in uno dei luoghi tradizionali, scelti dalle persone comuni. E andato in Cina alluniversità di Pechino dove si è laureato nella facoltà corrispondente al nostro I.S.E.F. Il suo sogno, infatti, era di diventare medico sportivo e sarebbe tornato in Italia a studiare medicina, se le cose non avessero preso una piega diversa. Giorgio, che vedremo sul piccolo schermo in autunno nel film diretto da Alessandro Di Robilant La voce del sangue, in Italia ha conosciuto la popolarità di recente, soprattutto grazie ai due film diretti da Gabriele Muccino (Ecco fatto nel 1998 e Lultimo bacio nel 2000) e al video interpretato al fianco di Elisa per la canzone vincitrice di Sanremo 2001 Luce (tramonti a Nord Est). Approfittiamo della sua disponibilità per farci raccontare come è iniziata la sua carriera di attore.   G.P.Mentre ero in Cina - ci spiega Giorgio Pasotti - una produttrice di Hong Kong stava cercando un ragazzo occidentale da inserire in un film; la mia scelta fu resa possibile anche grazie alla mia sportività, necessaria per girare alcune scene. Il film, in cui interpretavo la parte di un monaco buddista, andò molto bene e venni contattato per girarne altri due .   Dopo questo inizio di carriera decisamente insolito, quale è stato il passo successivo?   G.P. Dalla Cina decisi di trasferirmi negli Stati Uniti. Ormai si era delineata per me questa grossa opportunità e dovevo prenderla seriamente in considerazione. Ho vissuto a Los Angeles per circa un anno e mi sono dedicato a tempo pieno agli studi di arte drammatica e recitazione. Penso che per fare lattore sia importante viaggiare. Sono daccordo con quel regista (Daniele Lucchetti, n.d.r.) che disse: \"se vuoi essere un bravo attore prendi la valigia e gira il mondo!\".   Tornato in Italia, nella tua Bergamo, vieni scelto da Daniele Lucchetti per il ruolo di co-protagonista insieme a Stefano Accorsi del film I piccoli maestri.   G.P. E un film al quale sono molto affezionato, è stato il mio debutto in un ruolo diverso da quelli che avevo fatto in precedenza, inoltre portavamo sul grande schermo una storia vera, fatta di personaggi che io considero degli eroi.   Poi è arrivato lincontro con Gabriele Muccino.   Lo potrei definire come un amore a prima vista! Ma credo che incontri di questo tipo non avvengano mai per caso: prima o poi persone simili si incontrano.   Quali sono i pregi di Muccino?   G.P. Sicuramente la sua capacità di creare un bel gruppo di lavoro, di trasmettere la sensazione che si può girare un film impegnandosi e divertendosi nello stesso tempo. Ammiro molto la sua capacità di cogliere in ogni attore listinto, lemozione, lattimo.   NellUltimo bacio sei Adriano, un giovane marito che si sente oppresso dal proprio contesto familiare. Ci descrivi in che modo sei riuscito a calarti nel suo personaggio?   G.P. Adriano vive la storia più drammatica di tutti e quattro gli amici. Lui è la vera vittima, soprattutto perché ha un figlio. Adriano lavora, porta a casa i soldi, vive nella routine, ha una moglie che si è inaridita, un amore che si è smorzato. Ho cercato di rendere questo personaggio il più possibile credibile. Inizialmente non ero daccordo sul finale, non immaginavo la figura di un padre che fugge di fronte alle proprie responsabilità, poi Gabriele mi ha convinto facendomi leggere un libro che racconta la storia di un padre oppresso dalla propria famiglia, che decide di scappare e di abbandonare la moglie e i figli. Questo libro mi ha fatto capire che situazioni di questo tipo possono esistere, possono essere reali.   Consideri la fuga di Adriano un modo sbagliato di risolvere i problemi?   G.P. Per Adriano può essere la soluzione migliore, ma in questo io e lui siamo molto diversi. Per me il modo più giusto per allontanare i problemi è di affrontarli e di cercare di risolverli.   Ci vuoi raccontare un aneddoto avvenuto durante la lavorazione del film?   G.P. Ce ne sarebbero molti da raccontare. Per esempio la scena di noi quattro che festeggiamo davanti alla fontana dellEur. Bisognava stappare le bottiglie di spumante, brindare e bere. Quella scena labbiamo ripetuta almeno una ventina di volte, alla fine eravamo brilli. E Gabriele in fase di montaggio del film ha tenuto lultima ripresa, in cui rendevamo al meglio il nostro stato di euforia!   Tu conosci bene Muccino, cosa pensi che voglia insegnare con i suoi film?   G.P. Gabriele non vuole insegnare, non ha questa presunzione, vuole solo raccontare storie che ha vissuto in prima persona o che ha filtrato, ma sempre in modo diretto.   Che concetto hai del tuo lavoro e del mondo che lo circonda?   G.P. Amo il mio lavoro, soprattutto oggi che sono riuscito a creare un giro di amicizie e di collaboratori con cui mi trovo molto bene. Ma non mi piace lidea di essere un privilegiato.   Come selezioni i lavori che ti propongono?   G.P. Accetto i ruoli che mi piacciono. Ci tengo molto a mantenere una coerenza professionale, è una specie di regola che mi sono imposto: seguire le mie idee e i miei gusti.   In che modo riesci a calarti nel personaggio che interpreti?   G.P. Nel momento in cui giro un film convivo con il mio personaggio, cerco di capirlo, di viverne le emozioni, di motivare le sue scelte.   Dopo il film di Muccino hai scelto di recitare a teatro, nellopera di Robert Lepage e Marie Brassard Polygraphe. Che differenza cè tra recitare di fronte ad una macchina da presa e farlo di fronte ad una platea?   G.P. Sono due cose molto diverse. La soddisfazione che provi al cinema la rimandi a quando il film esce nelle sale, invece al teatro la vivi in diretta. Lattenzione del pubblico, le risate, i sospiri in sala, vivi unemozione immediata. Al teatro ti accorgi subito se il pubblico sta ammirando la tua recitazione, percepisci se lapplauso è sincero oppure è di circostanza. E come se si aprisse un dialogo con lo spettatore e questo influisce molto sul tuo rendimento.   Le cose che non vengono dal cuore non vanno al cuore, è un messaggio molto profondo che Lepage lancia durante lopera.   G.P. E un messaggio che trova perfettamente riscontro anche nel modo di pensare di Gabriele Muccino.   Che cosè la libertà per Giorgio Pasotti?   G.P. E lunico valore per cui vale la pena combattere. Ogni persona dovrebbe poter difendere un proprio spazio di intimità, inaccessibile agli altri.   Al termine della nostra intervista che ha assunto i toni di una chiacchierata tra amici piuttosto che di un incontro formale chiediamo a Giorgio in quale modello di attore si riconosce.   G.P. Non mi sento né un divo né una persona diversa dalle altre. Ho conservato tutta la semplicità di quando non ero famoso. Mi piace mantenere le amicizie di prima e ammiro le persone che convivono con i problemi di tutti i giorni: sono loro i miei eroi!.    
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