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Mission possible

Il bravo Michael Giacchino dimostra con le musiche di M:I:III che omaggiare non è sempre sinonimo di copiare

Mission Impossible 3 - Colonna Sonora

12.04.2007 - Autore: Giuliano Tomassacci
Ai massimi storici della sua refrattarietà all’originalità e all’azzardo narrativo - con remake, rivisitazioni, riduzioni letterario-fumettistiche e serializzazioni a tener banco nel circuito mainstream – Hollywood pretende garanzie di conformità anche dai suoi compositori. Conseguenze ormai più che allarmanti sono l’attuale omologazione di scrittura e approccio che domina il panorama cine-musicale, il saccheggio (più o meno esplicito o consistente) dagli autori del passato, l’accentrarsi di una schiera di professionisti pronti a tutto pur di portarsi a casa il film a scapito di un sound inesorabilmente omologato e omologante (si veda l’ex Media Ventures, ora Remote Control, con il suo crescente numero di adepti “zimmeriani” sempre più in sintonia con il cinema odierno) e la naturale deflazione degli esponenti maggiormente dotati di personalità e spirito d’innovazione (quella vera, non il trito e ritrito che passa per modernismo), nonché di qualità musicale indubbia, costretti a latitanze prolungate dagli schermi. Insomma la standardizzazione e la povertà di idee travestite da postmoderno e solamente spacciate (salvo consone eccezioni) per pruriti omaggianti.

Tra i due poli si va formando una generazione di mezzo, anch’essa avida dell’opera passata ma in senso più completo. Lo scalpitante Michael Giacchino la sta spuntando come esempio più interessante. Il suo convincente esordio nel lungometraggio, Gli Incredibili (con un tema ed un’impostazione a là John Barry bondiano) e le sue caratterizzanti esperienze nel serial televisivo (Alias, Lost), avevano già certificato la predilezione per i modelli della vecchia scuola. Con lo score di Mission Impossibile III la sua inclinazione non sembra essere cambiata. Giacchino riceve il testimone da Hans Zimmer (responsabile di un poco suggestivo commento per il secondo episodio della trasposizione cinematografica del telefilm cult) e sebbene nell’imbastitura ticchettante e sostenuta si allinei molto più al Danny Elfman del primo capitolo depalmiano, il musicista punta dritto al Lalo Schifrin della serie originale. A fianco dell’irrinunciabile tune principale (“Mission Impossibile Theme”) – trattato con solerzia nei titoli di testa e potenziato percussionisticamente in “Schifrin And Variations” (non presente nel film ma solo in chiusura dell’album Varèse) – Giacchino imposta una partitura perfettamente mimetica allo stile action ’70, favorendo proprio quell’impronta orchestrale con contaminazioni jazz di cui Schifrin fu indiscusso promulgatore. Ed ecco la differenza di Giacchino rispetto al facile citazionismo esteriore di molti colleghi contemporanei: non fermarsi al semplice riutilizzo del materiale tematico (lo score fa largo uso anche del motivo secondario della serie televisiva, “The Plot”) arrivando all’immedesimazione con la scrittura di riferimento. Vividi infatti i richiami ai tipici arrangiamenti per archi, agli interventi leggeri e veloci dei legni, ai giri pianistici sulle basse ottave, all’implemento della batteria nelle pagine action dal sapore inevitabilmente (e gradevolmente) vintage (“Masking Agent”). Ad onor di cronaca le sequenze più movimentate del film si aggiudicano sovente anche un’elaborazione devota al John Williams d’annata (il trittico “Factory Rescue”, “Evacuation”, “Helluvacopter Chase” sembra uscire da L’Impero Colpisce Ancora): non a caso Williams è stato per il giovane compositore autodidatta un modello dichiarato sin dalle prime mosse nelle musiche per videogames.

Al di là del “già sentito”, la prova risulta insomma convincente proprio grazie alla completa immedesimazione del compositore, che consegna la partitura più efficace delle tre finora stese per il franchise Mission:Impossibile. La valutazione complessiva deve comunque tener conto del grande problema ancora evidente in Giacchino, la latitanza di un’identità personale marcata (da qualcuno individuata in Lost, da altri nelle ultime stagioni di Alias) che favorirebbe il suo accesso definitivo al rango di fuoriclasse dell’attuale cerchia cine-musicale statunitense, riconciliando magari anche una critica fermamente spaccata in due di fronte al suo operato.

A conti fatti insomma Giacchino è ancora una volta promosso con riserva; ancora costretto al banco di prova. Vista la stagnate situazione hollywoodiana di cui si diceva, inutile aggiungere però che preferimmo un parterre di simili rinviati a giudizio al fiaccante establishment di apatici professionisti a piede libero.

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