Nella loro saletta di montaggio soffusa ed accogliente, siamo andati a trovare Marco e Antonio Manetti, per parlare della loro ultima pellicola, “Piano 17”, nelle sale dal 3 marzo. Ne è venuta fuori una chiacchierata libera e divertente sul film e più in generale sulla situazione odierna del nostro cinema….
Come nasce l’idea di “Piano 17”?
Antonio - Avevamo appena finito la serie de “L’ispettore Coliandro” (serie Tv che andrà in onda sulla RAI ad aprile, ndr), e con i protagonisti sentivamo la necessità di lavorare insieme ancora una volta, divertirci su un progetto che fosse del tutto nostro. Per carità, “Coliandro” è stato una bellissima esperienza, ma comunque un lavoro su commissione…
Marco – Ti interrompo subito. Non è che “Piano 17” nasce dall’esigenza di sentirci liberi o che altro: è che noi un progetto così, girato in piena autonomia, lo abbiamo sempre voluto fare!
Antonio – Giusto! In realtà noi ne abbiamo già fatti tanti di lavori in libertà: è che magari avevamo solo un giorno o due liberi, e sono venuti fuori dei corti! In questo caso avevamo due mesi di tempo, ed è venuto fuori un lungometraggio…Marco – Insomma, non è che la frustrazione di questo lavoro, o di non lavorare, ci ha portato a fare “Piano 17”. Semplicemente, volevamo farlo proprio cosi!
Ho avuto la netta impressione che, rispetto ai vostri prodotti precedenti, con “Piano 17” avete alzato un po’ il tiro: sia tratta di un bel film di genere, lucido, secco, con dei riferimenti molto precisi. Sembra molto meno “cazzeggione” delle altre cose che avete fatto…
Marco – Lo è assolutamente meno!
Antonio – Hai ragione, “Piano 17” ad esempio è un film molto meno citazionista di “Zora la vampira”, che pescava da opere come “Blakula”, “Super Fly” ecc. “Piano 17” invece ha dei riferimenti che in qualche modo sono più istintivi, evita questo tipo di citazionismo se vogliamo post-moderno della nostra opera precedente.
Marco – “Piano 17” si rivolge più ad un certo tipo di cinema che ad una pellicola in particolare...
Michael Mann per esempio?
Antonio - Certo! Mann è uno dei nostri registi preferiti, e ci siamo ispirati a lui per quanto riguarda una certa stilizzazione degli ambienti, delle atmosfere.
Marco – Noi da sempre volevamo fare un poliziesco. Sia ben chiaro, un poliziesco, non un poliziottesco! Un errore in cui la critica cade spesso è quello di vederci come “figli” di un certo cinema che in realtà non ci appartiene più di tanto, e cioè quello italiano degli anni ’70. I nostri lavori precedenti, dai video del Piotta a Marco Giusti a tutto il resto, per una serie di coincidenze o nostri “errori di mira” ci hanno accomunato ad una linea culturale e modaiola che non è poi la nostra fino in fondo: in questo senso “Piano 17” può essere considerato il primo film veramente nostro al cento per cento, mentre nelle altre cose seguivamo comunque una linea che ci veniva dettata, e che ci faceva del resto piacere seguire per confrontarci con il genere! In realtà credo che la nostra assoluta mancanza di snobismo abbia creato una sorta di fraintendimento…
Mi sembra che negli ultimi tempi in Italia siano usciti più film di genere, soprattutto noir o poliziesco: penso prima di tutto a “Romanzo criminale”, ma anche a “La cura del gorilla”, “Arrivederci amore, ciao”, o prima a “Quo Vadis, Baby?” ecc. A prescindere dalla loro riuscita artistica, pensate spossa cavalcare quest’onda?
Marco – Magari! Secondo me questa tendenza è nata prima in televisione e poi si è trasferita al cinema: pensiamo ad esempio a “Distretto di polizia”, che può essere considerato un capostipite. Purtroppo però i film che hai citato non sono stati tutti dei successi al botteghino. La mia speranza è che questo sia successo non perché il pubblico non li vuole, ma perché hanno ancora qualcosa di “errato” al loro interno. Magari stiamo mettendo piano piano a fuoco le regole di questo genere, ed il fatto che serve tempo speriamo non affossi questo afflato che si sente nell’aria. Forse in chi ha affrontato il genere c’è ancora una certa velleità autoriale che al genere stesso non fa bene.
Antonio – Una causa potrebbe anche essere che tutte queste pellicole sono tratte da opere letterarie, e la loro discendenza appesantisce troppo la tensione nei verso i meccanismi del genere a cui appartengono. Noi abbiamo fatto “Coliandro” che è tratto da Lucarelli, ma lo abbiamo asciugato della sua “letterarietà”.
Perché il cinema italiano non funziona e non porta la gente la cinema?
Antonio – Io oltre che regista sono anche spettatore, e devo confessarti che sono spaventato dal cinema italiano. Perché? Al principio forse c’è un certo tipo di cultura dei produttori, che se gli porti una storia su un architetto in crisi esistenziale gongolano, ma se invece gli proponi tre persone chiuse in un ascensore con una bomba ti ride in faccia - ed infatti noi “Piano 17” non lo abbiano portato da nessun produttore! Negli altri paesi questo non succede, anzi. All’estero c’è molta più attenzione verso lo spettatore e verso la storia, o meglio verso le macro-storie. Anche i nostri film di genere, come ad esempio le commedie, non hanno storia: e quelli che ce l’hanno non te la vendono! Forse è anche un errore di marketing perché ti pubblicizzano il comico, la bella di turno, magari la gag ad effetto, ma mai la storia che c’è alla base. “Piano 17” punta invece proprio sulla storia: certo è funzionale al thriller, ma comunque presente e coerentemente sviluppata.
Non siete preoccupati dall’idea di essere “etichettati” come realizzatori di opere a basso budget?
Marco - A me l’idea non crea nessun senso di inferiorità o di frustrazione. Certo, se poi ci chiamano a fare “King Kong” sarei felice! Però se non succede non mi importa. Come tutti nella vita ci terrei anche a guadagnare qualcosa, ma questo è un altro discorso, no?
Antonio – Noi in realtà non abbiamo poi quello che io chiamo il “feticismo del fare cinema”: a tutti in Italia piace avere a disposizione una quantità enorme di materiale che poi magari non usano. Vedi troupe gigantesche, camion pieni di attrezzature, dolly ecc. Spesso capita che poi alla fine, con tutti questi mezzi a disposizione, perdi di vista la tua priorità, che è quella di raccontare una storia. Questo poi determina uno spreco di soldi che sui nostri set difficilmente capita…
Questo non potrebbe dipendere appunto dal fatto che il cinema italiano racconta storie che non sono poi così buone?
Marco (ride) - Magari i produttori si accorgessero che le storie non sono buone: sarebbe un gran passo avanti!
Cosa ne pensate dei recenti tagli del governo al Fondo Unico per lo Spettacolo?
Antonio - A dire il vero noi siamo un po’ fuori da questi problemi. Ovviamente credo sia necessario dare fondi alla cultura, ma allo stesso tempo sono pienamente cosciente del fatto che il sistema di elargizione dei fondi per il cinema era malato, e non funzionava. Si era perso completamente il contatto col pubblico, dal momento che i produttori proponevano film che piacessero alla commissione, non agli spettatori: è inammissibile! Forse è un errore aver tolto i fondi, ma se ciò servisse per smuovere le acque e uscire da questo stallo. Se i produttori diventassero nuovamente imprenditori, e decidessero di rischiare, questo sarebbe di certo un vantaggio per il nostro cinema: prima non rischiavano nulla, perché lo Stato praticamente pagava per loro e poco o nulla chiedeva in cambio. Si era creato in pratica un sistema di assistenzialismo, non si pensava più a guadagnare col cinema, cioè l’esatto contrario di un corretto sistema industriale.
Siete tra i pochi cineasti che si muovono tra cinema e TV e non sembrano avere un atteggiamento snobistico nei confronti della televisione…
Marco – E’ assolutamente vero. Non c’è nessun senso di inferiorità, partendo comunque dal presupposto che un prodotto per la Tv è per forza un lavoro su commissione. C’è poi da sottolineare che la Tv adesso è molto più aperta del cinema ad accogliere prodotti di genere, come abbiamo già evidenziato prima. Guarda ad esempio la serie americana “24”, che è più bella di tutti i film passati al cinema negli ultimi cinque anni! A noi magari può non piacere troppo molta della fiction italiana, ma la televisione come mezzo ci soddisfa in pieno! Noi stiamo scrivendo da anni una serie di fantascienza che parla di superpoteri, e quando ne abbiamo parlato con produttori televisivi abbiamo trovato solo interesse. Se con la stessa idea vai da un produttore cinematografico ti guarda con due occhi di fuori!
Voi siete anche co-produttori di “Piano 17”, e nel frattempo avete appena prodotto anche un altro film, “Il bosco fuori” di Gabriele Albanesi. Siete intenzionati a percorrere questa strada?
Antonio – Lo facciamo se capita: abbiamo prodotto anche dei corti, tra cui un altro di Albanesi ed uno nuovo di Elisabetta Rocchetti.
Marco - Sia ben chiaro però che non viviamo per produrre, tutt’altro. Noi siamo disposti a mettere a disposizione il nostro nome e le nostre capacità per aiutare chi crede che in Italia debba venir fuori un certo tipo di cinema che ancora non c’è. In un certo senso siamo più vicini all’idea di creazione di una “factory” di persone che mettano in comune esperienza e lavoro su un progetto ben preciso.
L’ultima domanda è quella di rito: quali sono i progetti per il futuro?
Antonio – Adesso stiamo facendo “Crimini”, una serie per la Tv. Abbiamo finito una episodio tratto da De Cataldo, e dobbiamo girarne altri due, da Lucarelli e Parlotto. Stiamo pensando anche qualcosa per il cinema, ma è ancora presto per parlarne: posso solo dirti che ovviamente sarà un’opera di genere, anche più spinta e radicale rispetto a “Piano 17”!


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Manetti Bros: "spazio al genere!"
Nella loro saletta di montaggio soffusa ed accogliente, siamo andati a trovare Marco e Antonio Manetti, per parlare della loro ultima pellicola, "Piano 17" nelle sale dal 3 marzo

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani