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Manderlay

Secondo capitolo della trilogia che Lars Von Trier sta dedicando al 'lato oscuro' della storia e della civiltà americana, questo nuovo lungometraggio si dimostra più compatto e coerente del già interessante "Dogville"

MANDERLAY

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Id., Usa/Danimarca, 2005
Regia di Lars Von Trier
con Bryce Dallas Howard, Willem Dafoe, Danny Glover, Lauren Bacall, Chloe Sevigny


Dopo essere fuggita da Dogville con il padre e la sua schiera di gangsters, la giovane Grace (Bryce Dallas Howard) arriva nella piantagione di Manderlay, in Alabama, dove ancora nel 1933 la schiavitù della gente di colore è perpetrata senza scrupoli. Impossessatasi con la forza della gestione della piantagione, Grace e la sua banda di sgherri di dedica con tutta la sua forza di volontà ad insegnare al gruppo di ex-schiavi le regole basilari della civiltà e della democrazia. Aiutata da Wilhelm (Danny Glover), il membro più anziano e saggio del posto, la ragazza decide di stabilirsi a Manderlay e mandare avanti l’azienda fino al prossimo raccolto, il cui ricavato verrà finalmente diviso tra tutti coloro che hanno duramente lavorato per ottenerlo. Ben presto però, come successo in precedenza a Dogville, l’inesperta ed idealista Grace si troverà ad affrontare oltre che una serie di problemi pratici, anche la ritrosia della comunità ad assimilare regole di vita che per loro sono del tutto estranee.

Secondo capitolo della trilogia che il geniale cineasta danese Lars Von Trier sta dedicando al “lato oscuro” della storia e della civiltà americana, questo nuovo lungometraggio si dimostra più compatto e coerente del già interessantissimo “Dogville” (id., 2003).

Rispetto al primo episodio ad essere nettamente migliorato è proprio lo sviluppo del personaggio di Grace, la protagonista: dopo averla conosciuta fragile ed incerta nell’altra pellicola, in “Manderlay” invece ci si può divertire a vederne tutte le ambiguità di fondo, sfoderate al meglio attraverso la magnifica caratterizzazione di Bryce Dallas Howard.

Strutturato secondo una logica più ficcante e tesa a sottolineare le incoerenze morali dei vari personaggi, il film vira più decisamente verso la commedia di taglio radicalmente acido, arrivando a colpire nel segno: l’umorismo grottesco che ha strisciato sotterraneo in molte opere di Von Trier esplode qui come matrice dominante del tono, precisa e riconoscibile. Adoperando gli stessi stilemi estetici che avevano caratterizzato le scelte estreme di “Dogville”, l’autore costruisce nuovamente un impianto scenico di enorme impatto visivo, che coinvolge lo spettatore come partecipante attivo ad un gioco estetico ammiccante ed insieme sapido. Retto interamente sulle spalle della già lodata giovane attrice, già splendida protagonista di “The Village” (id., 2004) di Shyamalan, “Manderlay” ha dalla sua un’altra grande schiera d attori comprimari, in cui svetta un Willem Dafoe di immensa comicità.

Dopo la pungente novità di “Dogville”, Von Trier sembra aver messo a punto il suo discorso, aver scelto il tono preciso da dargli, ed aver sfornato un secondo episodio di fattura pregevolissima, molto incisivo e tagliente. Tutto l’estro registico del cineasta danese viene espresso nella sua pienezza, regalandoci uno spettacolo tanto intelligente nel suo essere serioso, quanto attento poi a farci riflettere su ciò di cui stiamo ridendo...