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L'arco

Il regista osannato in Europa con Ferro3, e odiato in patria dopo ogni suo film, torna con L'arco presentato quest'anno a Cannes. Per chi cerca un po' di poesia per immagini Kim Ki-duk non tradisce mai

L' Arco

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti
Il poliedrico Kim Ki-duk mette giù quasi in versi la trama e il simbolo del suo ultimo lavoro cinematografico:
 



“Nel mare vasto e sconfinato, a bordo di una barca che nessuno sembra vedere  
lì, vive un vecchio con un arco, il suo altro io, e la ragazza da lui amata.  
L’arco del vecchio rappresenta  
la forza con cui protegge la ragazza dal mondo,  
il conforto con cui calma la mente,  
la musica che suona per la ragazza che ama,  
il desiderio sessuale per qualcosa che vuole possedere,  
e la tesa gelosia per qualcosa che no potrà mai avere”.  

Un sessantenne scorbutico e tosto come un vecchio lupo di mare possiede una barca in avaria ancorata da tempo in mezzo al mare. Con lui da una decina d’anni è cresciuta una ragazza, ormai sedicenne, con cui ospitano e servono da bere a una decina di pescatori. Questi spediscono mani e sguardi umidi sul corpo della giovane; il vecchio li tieni lontani minacciandoli con le frecce del suo arco. Con le stesse predice anche il futuro, scagliandole contro un’immagine, la tradizionale effige sud coreana del Buddha. Il vecchio attende solo il diciassettesimo compleanno della ragazza per sposarla. Tuttavia un giorno tra i pescatori sale pure un giovane che s’innamora ricambiato della ragazza. La situazione andrà verso un inevitabile ma poetico naufragio.

Il mondo extra-linguistico di Kim Ki-duk. Il regista sud-coreano anela ancora una volta ad un mondo extra-linguistico. Il mutismo assoluto eppure rende più evidenti le azioni dei suoi personaggi. Le poche volte che si parlano lo fanno all’orecchio sotto voce, e bisbigliando al punto che manco sentiamo il bisbiglio. Intanto un quadro figurativo magnifico ha già invaso lo schermo al momento del primo fotogramma, tutto riassunto tra due labbra e due occhi neri magnetici. L’intero set de "L’arco" è costituito dal mare, e da una vecchia barca da pesca. Un violino che si suona pizzicandolo come si potrebbe fare con un arco, è l’unica meravigliosa (ma a tratti estenuante, ok) colonna sonora del film.

Scena madre. La ragazza decide di fuggire con il giovane amante a bordo di un’altra barca. Il vecchio allora si lega al collo una grossa cima della barca che si allontana con i due. Man mano che la barca si distanzia la corda si tende e trascina il vecchio rischiando di strozzarlo. Un’impiccagione d’amore causata, concretamente, dalla fuga dell’amata.
 



Invero in patria non lo possono vedere Kim Ki-duk. Certo che però son strani ‘sti coreani. L’arco ad esempio è uscito solo in un cinema in Corea. Dice il regista: “E’ stata una mia scelta, non voglio andare incontro a degli spettatori viziati, sono loro che devono venirmi a cercare". Sì, poi ogni volta che esce con un nuovo film i pochi estimatori su cui può contare in patria sono zittiti dai critici che lo stroncano con l’accetta pronta. Si sono addirittura indignati di fronte a Primavera, Estate, Autunno, Inverno...e ancora Primavera, da noi il film della rivelazione. Avrebbe il difetto di diffondere la filosofia di vita orientale in occidente. Se dicevano Grazie e basta facevano più bella figura.  

Allora pure L’arco ce lo teniamo volentieri noi. L’arco di Kim Ki-duk è un potente mezzo che uccide e protegge dalle minacce esterne, uno strumento musicale per un rituale spirituale, l’utensile sciamanico per predire il futuro. Ed è anche la macchina da presa che tende tutte le corde emotive dello spettatore.



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