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L'amico di famiglia

La critica si è decisamente divisa nel valutare quest'opera, esaltando le capacità del regista nel creare atmosfere ma sottolineandone allo stesso tempo le incongruenze a livello di sceneggiatura

L'Amico di Famiglia

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Il personaggio di Geremia, il protagonista di questo nuovo lavoro di Sorrentino, è una delle figure più grottesche che il cinema italiano ci ha consegnato negli ultimi anni. Volendo tentare di identificarlo attraverso un paragone con altri grandi “villain” cinematografici, ci viene immediatamente alla memoria lo splendido Penguin interpretato da Danny De Vito: come l’altro infatti Geremia si muove ingobbito, scattante e goffo, furtivo e pericoloso; come l’altro non ha mai conosciuto il padre, che lo ha abbandonato da piccolo e che si muove costantemente nella sua mente contorta. Figura ributtante ed insieme tragica nel suo isolamento, il Geremia interpretato con grande aderenza fisica da Giacomo Rizzo è il motore primario de “L’amico di famiglia”, pellicola che conferma l’enorme talento registico dell’autore napoletano. Il film infatti si propone come una sinfonia visiva di fortissimo impatto, cadenzata dai sinuosi movimenti oppure dagli splendidi scorci di Luca Bigazzi. Sorrentino dimostra una completa padronanza della macchina da presa, adoperata con una coerenza ed una precisione davvero inusitate: questo “istrionismo controllato” in alcuni momenti viene però a cozzare con una storia che forse avrebbe meritato in determinate parti una messa in scena meno presente e più controllata nel lasciare spazio all’introspezione dei personaggi, molto ben caratterizzati. Per certi versi, sembra che “L’amico di famiglia” soffra di una sorta di sfasatura tra la materia trattata ed il “modus” cinematografico di trattarla; oltre che la regia, soprattutto il montaggio a tratti un po’ troppo frenetico disequilibra lo sciogliersi della vicenda. A parte questo però il film si muove affascinante come un noir di vecchia scuola, claustrofobico e soffocante negli interni, pieno di figure di tragica ed affascinante ambiguità: ogni personaggio de “L’amico di famiglia” è infatti un “loser”, che tenta di arrivare a patti con i propri sogni irrealizzati con ogni mezzo possibile.

Rispetto al piccolo miracolo artistico de “Le conseguenze dell’amore” (id., 2004) Paolo Sorrentino conferma alcune qualità di quel lungometraggio, non riuscendo però a bissarne la sua completezza e il grande equilibrio interno. Ottimo costruttore di atmosfere e di personaggi dalla complessità estremamente sfaccettata, il cineasta ci regala comunque una pellicola visivamente molto affascinante, in grado di irretire lo spettatore.

La critica si è decisamente divisa nel valutare quest'opera, esaltando le capacità del regista nel creare atmosfere ma sottolineandone allo stesso tempo le incongruenze a livello di sceneggiatura.