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La 'politica dei morti viventi' secondo Romero

Vedere un film di zombie diretto da George A. Romero significa soprattutto assistere ad uno spettacolo i cui contenuti estetici ed ideologici sono molto più stratificati e complessi di quanto la superficie filmica dimostri

George A. Romero

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Assistere ad un film di zombie diretto da George A. Romero, rispetto all’opera di qualsiasi altro regista americano che abbia affrontato questo sottogenere horror, significa soprattutto assistere ad uno spettacolo i cui contenuti estetici ed ideologici sono molto più stratificati e complessi di quanto la superficie filmica dimostri. Partendo dal puro discorso visivo, i film di Romero posseggono una smaccata propensione allo “splatter” che alle altre produzioni di matrice hollywoodiana è del tutto sconosciuta: attraverso la crudezza delle scene più violente il cineasta ha saputo impostare un proprio discorso estetico preciso e pienamente riconoscibile, capace di dotare ogni messa in scena di un cruento realismo (in altri autori come Peter Jackson, ad esempio, il “gore” è stato invece usato per accentuare la matrice surrealista delle proprie pellicole).

Oltre alla coerenza interna della messa in scena i film di Romero hanno in sé anche un sotterraneo ma pulsante strato ideologico, che mette in discussione i fondamenti principali della cultura e della società americana: già il primo film della serie, l’ormai mitico ed irripetibile “La notte dei morti viventi” (Night of the Living Dead, 1968) si poneva come lucida e spietata riflessione su tutta una serie di aspetti dell’”American “Way of Life”: ambientato tutto in una casa assediata dai non-morti, il film denunciava apertamente anche il razzismo strisciante in molti dei personaggi/specchio costretti a convivere per potersi salvare; oltre a questo, tra le righe il discorso di Romero si spostava anche sulla critica ad molti valori fondamentali come l’istituzione della famiglia e del gruppo sociale. Nel successivo “Zombie” (Dawn of the Dead, 1978) il discorso metaforico sul disfacimento della società americana si scagliava contro l’ottuso consumismo di massa: questa volta l’ambientazione era un gigantesco ed impersonale centro commerciale, meta insensata dei morti/folla non pensante. Il fanatismo militare e quello scientifico sono stati invece presi di mira ne “Il giorno degli zombi” (Day of the Dead, 1985), fino ad arrivare alle radici del capitalismo in quest’ultimo “La terra dei morti viventi” (Land of the Dead, 2005).

Dietro la razionale volontà di appropriazione di un genere come lo zombie-movie George A. Romero ha dunque voluto affermare il proprio discorso critico ed ideologico sulla sua cultura di appartenenza. Indipendente nella produzione, costantemente avverso all’estetica ed agli stilemi imposti dagli Studios, il cinema di Romero ha saputo dimostrare, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, che la forza di una pellicola è data dalla coerenza estetica e poetica presenti al suo interno, non dai milioni di dollari spesi per la sua realizzazione.