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Kill Bill volume 1

"Kill Bill" ha una potenza infinita proprio perché va oltre i generi che raccoglie, perché unisce, mescola e rielabora forme narrative d'ogni genere e diventa qualcosa che è letteratura, narrativa, prosa, poesia: epos allo stato puro.

Kill Bill

12.04.2007 - Autore: Leonardo Godano e Matteo Nucci
Siamo tornati a vederlo, "Kill Bill", e all'uscita, ancora attoniti, ci siamo guardati, scuotendo il capo. "Allora? Che dici?" "Dico che avevamo fatto bene!" "Cioè?" "Ad aspettare. A tacere". "Il silenzio wittgensteiniano?" "Sì! Indubbiamente".   Parlare di "Kill Bill" anche stavolta non è affatto semplice. Anche dopo averlo visto doppiato - ben doppiato, bisogna ammetterlo -, senza l'attesa e la curiosità della prima volta, senza l'ingenuità della prima volta. Eppure parlarne non è affatto semplice.   Mal Jankovic, nei giorni scorsi, ha scritto della colonna sonora e delle fonti d'ispirazione che hanno accompagnato nella costruzione del film la strada geniale di quel folle cinefilo di nome Quentin Tarantino. Abbiamo potuto ricostruire un percorso, perlomeno. Ma è proprio quella ricostruzione che può dar modo di spendere qualche parola sul film senza cascare nei due estremi del silenzio o della logorrea. Quando uno si rende conto che "Kill Bill" non è né B-movies, né spaghetti western, né kung-fu, né stereotipo tarantinesco... Quando si capisce che si tratta di un film che va oltre qualsiasi identificazione, si può finalmente dire qualcosa.   "Kill Bill" ha una potenza infinita proprio perché va oltre i generi che raccoglie, perché unisce, mescola e rielabora forme narrative d'ogni genere e diventa qualcosa che è letteratura, narrativa, prosa, poesia: epos allo stato puro. I personaggi stessi e le storie che li raccontano elaborano forme d'individui che non sono più tali perché perdono la forma particolare e sono pronti a diventare archetipi. Mettere le mani nel mito sarebbe quasi scontato ma è Tarantino stesso a vietarcelo. Il mito, lo sto ricreando io sembra dirci mentre comincia a dipanare con maestria le storie della Deadly Viper Assassination Squad e soprattutto quelle delle guardie del corpo di O-Ren Ishii. Basta guardare il film, insomma.   Guardando il film, ad esempio, si resta attoniti di fronte alla scelta di un cartone animato per descrivere l'infanzia di O-Ren Ishii (Lucy Liu). È il momento in cui Tarantino desidera evitare l'ironia e la costante sdrammatizzazione della violenza che è contenuta nella sovrabbondanza della violenza stessa con cui si snoda il film. Nelle immagini animate, invece, la violenza esplode con una forza struggente, raccontando con spirito antico non una tragedia, ma la tragedia. È la tragedia infatti ciò che anima lo spirito veramente vendicativo, quello di O-Ren Ishii, specchio e contraltare di quello che ora sta vivendo la Sposa. E il combattimento con cui si conclude il primo episodio, mentre nella neve una fontana giapponese zampilla cupa, è proprio lo scontro epocale fra due vendette. Epilogo tragico in cui nessuna strada può essere indenne dal male.   La poesia epica del film è possibile grazie a miriadi di microscopiche genialità che nascondono la mano oscillante, giocosa, sapiente di Tarantino. Quando nella House of Blue Leaves Uma Thurman si ferma un attimo a riprendere le forze perse nel combattimento epocale, Quentin si permette un lusso stilistico che letteralmente abbaglia. Dopo scene su scene montate in bianco e nero per evitare la pesantezza del sangue sovrabbondante, la Sposa vacilla stremata, si ferma, riprende le forze, sbatte le ciglia e la realtà appare per quella che è. A colori. La potenza narrativa dell'accorgimento è fenomenale.   In genere, però, quel che colpisce di questa potenza non sono tanto gli artifici che l'hanno resa possibile, bensì l'essenzialità del film nel suo complesso. L'assenza totale di retorica, la rarefazione che permea la sceneggiatura, una sceneggiatura ridotta al minimo perché sono talmente forti le immagini e la musica che le parole non servono. E così si ritorna ai silenzi. Nel momento in cui Hattori Honzo consegna la spada alla Sposa e le parla della vendetta, non servono troppe parole. Bastano silenzi ingombranti e poche frasi ben calibrate. La sacralità del saluto dà i brividi. "Bionda guerriera, vai!"