Arrivando al cuore della
partitura la vera essenza strutturale comune ai due lavori è però la matrice
minimalista, impostazione radicata nel background di Mansell nonché principio di
composizione facile all’identificazione già dalla semplice attestazione
d’appartenenza della pubblicazione nell’alveo glassiano. Prassi stilistica da
non liquidare comunque con la facilità e la diffidenza solitamente riservate
all’incursione del modulo minimale in territori cinematografici. L’arma a
doppio taglio che la musica millimetricamente reiterata può rappresentare in
simili occasioni – e lo stesso Glass ne ha francamente fatto le spese in tempi
non sospetti, rischiando di difettare per eccesso nell’ostentazione di un
registro facile alla distrazione dello spettatore fino all’abuso audiovisivo –
si rivela qui strumento unico per il giusto accompagnamento della storia;
scelta efficacissima nell’esacerbazione di un andamento narrativo meditativo
(quando non eccessivamente autoindulgente) e rarefatto; chiave di lettura
inevitabile per quel senso di stasi mutevole, di leggenda onirica, assegnato
alla trama dal regista.
Sorprendentemente esclusa dalla rosa dei candidati all’Oscar dopo la
nomination ai Golden Globe, la colonna musicale di The Fountain si distingue
come una delle più intelligenti applicazioni minimali alla musica da film
finora proposte, in virtù di una coscienza narrativa sempre anteposta a
velleità stilisitche altrove incapaci di un dosaggio così dignitoso. E anche
alla disamina dei difetti del film, lo score rivendica un’organicità con il suo
riferimento visivo cui non si può che plaudire.


NOTIZIE
Immortalità minimale
In un raro esempio di perfetta adesione tra cinema e musica minimalista, Clint Mansell ritrova Darren Aronofsky nel visionario "The Fountain"

12.04.2007 - Autore: Giuliano Tomassacci