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Il suo nome è Tsotsi

Un ragazzo senza nome, chiamato semplicemente "Tsotsi", che nel linguaggio di strada dei ghetti del Sud Africa significa "gangster", è a capo di una banda di giovani criminali, assassini disperati e incoscienti

Il suo nome è Tsotsi

12.04.2007 - Autore: William Chioccini
Regia: Gavin Hood
con Presley Chweneyagae, Terry Pheto

Un ragazzo senza nome, chiamato semplicemente “Tsotsi”, che nel linguaggio di strada dei ghetti del Sud Africa significa “gangster”, è a capo di una banda di giovani criminali, assassini disperati e incoscienti. Una notte, approfittando di un’opportunità offertagli dal caso, Tsotsi ruba la macchina ad una donna dopo averle sparato. Quando si accorge che nell’auto c’è il figlio della donna, un neonato di tre mesi, la sua vita non sarà più la stessa.

Il suo nome è Tsotsi”, candidato al Premio Oscar come miglior film straniero, mescola la materia del thriller con quella del viaggio psicologico interiore, riuscendo in una perfetta sintesi dei due elementi. Tratto dal romanzo “Tsotsi” del drammaturgo sudafricano Athol Fugard, uno scrittore da sempre impegnato contro l’apartheid e la ghettizzazione delle comunità di colore del suo paese, il film racconta la riscoperta di alcuni dolorosi ricordi da parte del protagonista, e pone degli importanti interrogativi: da dove nasce il suo comportamento criminale? Una redenzione è possibile? Oltre alla scrittura, il film ha molti altri punti di forza: la recitazione dei giovani attori (la scelta di non reclutare star internazionali come avrebbero voluto gli investitori si è rivelata vincente), l’uso significativo degli ambienti e dei colori (nonché il formato epico del 2.35:1 per raccontare una storia fondamentalmente intimista), la colonna sonora. Sono stati fatti paragoni col brasiliano “City of God” e con pellicole ambientate nei ghetti neri delle città statunitensi; si tratta dell’ennesimo caso di “globalizzazione cinematografica”? In effetti, la baraccopoli alla periferia di Johannesburg ricorda tantissimo le favelas di Rio, e la musica “Kwaito” che accompagna le gesta (disgraziate) del protagonista è l’equivalente sudafricano dell’hip hop americano: musica dura, espressione di un sistema di vita urbano moderno e violento, cantato in un linguaggio di strada. Tuttavia, “Il suo nome è Tsotsi” riesce a conservare la particolarità delle proprie origini: individua le cause della criminalità (povertà, l’emarginazione, violenza... quelle sì globali), ma le racconta rimanendo fedele alla cultura del Sud Africa. E’ questa la caratteristica che ha permesso al film di raccogliere straordinari successi di pubblico in numerosi festival cinematografici internazionali e una (meritata) nomination agli Oscar: mantenere il particolare nell’universale.
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