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Il sofisticato inganno chiamato politica

Un'incursione minimale e sottile negli ingranaggi della politica con Kelsey Grammer come interprete d'eccezione

Boss- Kelsey Grammer

17.11.2011 - Autore: Giacomo Cannelli
Il mondo della politica ha sempre affascinato registi e scrittori. Micheal Moore aveva tentato la via del Mockumentary con K-street (2003 HBO), in cui personaggi politici reali e attori si mischiavano, fino a confondere lo spettatore. Nel più leggero Spin City (1996-2002 ABC) Bill Lawrence (Scrubs) ci racconta la vita del sindaco di New York attraverso gli occhi del suo advisor, interpretato da un esilarante Micheal J.Fox. Boss, prodotto da Gramnet Productions e Lionsgate Television, per il canale via cavo Startz, ci riprova nella forma del Drama, aggiornando l'orologio ai nostri tempi e portandoci nelle stanze del potere della città di Chicago.

Tom Kane (nome che non può non ricordare quel Kane interpretato da Orson Welles) è il sindaco di Chicago. La sua vita è stravolta quando gli viene riscontrata una grave malattia degenerativa simile all'alzheimer (DLB). Determinato a voler continuare i suoi impegni, Kane nasconde la notizia ai suoi collaboratori lasciando come unico depositario del segreto il suo medico curante. Dietro la maschera di politico tutto d'un pezzo, Kane riesce a celare la sua debolezza fisica. I suoi advisor sospettano qualcosa, ma lo rispettano troppo per chiedere. Malgrado la sua forza, i segni della malattia cominciano a diventare incontrollabili, mettendo in discussione la sua carriera.

La politica è un gioco sporco e “Boss” non ha paura di sporcarsi le mani. La cura con cui ci descrive il meccanismo della macchina istituzionale è perfetto. Nessun giudizio, nessuna retorica. E' così che vanno le cose. Come durante un'autopsia ogni elemento viene estratto e mostrato al pubblico. Un esempio è il ruolo degli advisor politici: con abilità istruiscono il loro capo su cosa dire, come parlare, arrivando in alcuni casi a specificare il tono da utilizzare in pubblico. Il politico sembra quasi una marionetta, un pupazzo sulle ginocchia del ventriloquo. In questo contesto i Media vengono descritti come un mezzo spogliato del proprio ruolo informativo. Le conferenze stampa sono uno schiamazzo confuso che si conclude regolarmente con lo statement del politico di turno che, ignorando le domande, comunica solo quello che gli interessa dire. La televisione è  un giocattolo nelle mani del potere, un arma utilizzata per ricattare o far cadere il nemico.

Boss è l'ennesima prova che i telefilm come li conoscevamo un tempo, non esistono più. Le regole della serialità televisiva sono cambiate. Oggi la serie utilizza un  linguaggio sofisticato in grado in alcuni casi di rivaleggiare con le altre forme narrative più "alte".

Seguendo una tendenza del momento, la pilota ospita dietro la macchina da presa un grande del cinema come Gus Van Sant (Martin Scorsese aveva aperto le danze dirigendo la puntata zero di Boardwalk Empire). I fan del regista americano troveranno i segni del suo passaggio lungo tutti i 55 minuti che compongono il primo episodio. Protagonista indiscusso Kelsey Grammer (Frasier, Cin Cin), anche produttore della serie, per la prima volta in una parte drammatica. La scelta di utilizzare un attore da sempre visto come "comico" è all'inizio spiazzante. Dopo 10 minuti fatti di sorrisi e dialoghi poco caratterizzanti, veniamo travolti dalla furia del suo personaggio. Kane/Grammer tira fuori la sua vera anima, fino a quel momento rimasta celata dietro la maschera di uomo politico, in una scena di una violenza verbale e fisica del tutto inaspettata. Il vecchio Frasier è spazzato via in pochi secondi e Grammer non sembra mai essere stato altro che Tom Kane.

Ad accompagnare l’interpretazione di Grammer c'è un cast di ottimo livello che vede tra i personaggi ricorrenti Connie Nielsen (Il gladiatore) Kathleen Robertson (in una parte "seria" dopo le non proprio indimenticabili apparizioni in Merlose Place e Beverly Hills 90210) e Hanna Ware (Shame).

La colonna sonora in Boss è praticamente assente. Solo piccole intromissioni minimaliste. Molto spesso non è neanche una vera e propria composizione, quanto più un'estremizzazione di suoni diegetici: il rumore del traffico, i passi di qualcuno, il respiro di un personaggio. Non volendo cadere in facili esaltazioni, il tappeto musicale interviene solo per sottolineare le parti più emotive, quelle in cui il racconto si ferma per descriverci il paesaggio interiore dei personaggi.

Boss non è una serie facile. Niente cliffhanger a fine puntata o trovate ad effetto. Il ritmo è cadenzato. A istanti di grande tensione si alternano momenti di riflessione, esaltati da una regia che spesso ci porta vicinissimo ai volti degli attori. Il lato mediatico e quello "off the record", il dietro le quinte, si alternano con grande maestria, rivelandoci quanto la realtà che vediamo sia solo la punta dell'iceberg. Sotto, nel profondo, la politica è composta di ricatti, tradimenti, violenza e falsità. Un uomo che sembra avere il controllo di questa potente macchina si trova a dover affrontare un nemico invisibile, un nemico non ricattabile, che potrebbe mettere in discussione non solo la sua carriera politica, ma anche la sua vita personale. Gli Emmy sono ancora lontani, ma qui potremmo avere già il primo candidato.


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