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Il siero della vanita'

Reduce dal successo di critica di 'Almost Blue' che lo aveva posto nell'olimpo dei nuovi registi visionari del nostro cinema, Alex Infascelli ci racconta la storia di un giovane folle turbato profondamente da un evento passato, disposto a tutto pur di poterlo ripetere.

Il siero delle vanità

12.04.2007 - Autore: Arthur Pang
Fare un film sulla volgarità e lo squallore del nostro tempo è molto rischioso. Prendere come capro espiatorio la televisione è molto facile. Fare un film sulla volgarità, la cattiveria, la forza-dipendenza e lo squallore della televisione è un rischio che si può correre. Ma affrontare insieme a questo un altro tema che il cinema italiano ha sempre avuto difficoltà ad affrontare, la storia di un serial-killer, è una specie di suicidio.   Reduce dall'eccessivo successo di critica di 'Almost Blue' che lo aveva posto nell'olimpo dei nuovi registi visionari del nostro cinema, Alex Infascelli ci racconta questa storia senza senso di un giovane folle turbato profondamente da un evento passato, disposto a tutto pur di poterlo ripetere. E così il giovane, senza suspance e senza motivo, sequestra cinque persone colpevoli di voler essere popolari a ogni costo. Sulle sue tracce l'investigatrice fallita e alcolizzata Margherita Buy e il suo vuoto aiutante, un grande Mastrandrea. Il tutto ambientato nel mondo della tv, nel mondo di un volgare Costanzo al femminile (la Neri), in un mondo dominato da questa donna senza scrupoli e con un unico interesse il suo programma.   'Il siero della vanità' sembra un po' quei B-movie che Italia1 ti propina il venerdì sera alle dieci e mezza. Perché è facile criticare la tv, criticare chi pur di apparire un secondo in quella scatola venderebbe l'anima al diavolo, e portarci a vedere quali sono le conseguenze di queste micro-follie. Ma questo va raccontato, va in qualche modo spiegato, bisogna tener conto che nel buio della sala vive e respira uno spettatore al quale la storia di questo 'insiringatore' magico e delle sue prede non interessa. Posta in questo modo non tocca, non emoziona. Sembra finta. Sarà anche colpa del più grave degli errori di Infascelli. Quello di aver rinunciato a un grande direttore della fotografia, Arnaldo Catinari l'unico in questo paese capace di fotografare e raccontare un storia così, e di averlo sostituito con un bravo tecnico del mondo della televisione e delle fiction. Una scelta voluta? Forzata? Chi lo sa. Ma a questo film che ci aspettavamo grande manca l'anima, manca la forza, manca il cinema. C'è la critica al nostro squallido mondo. Ma così si rischia solamente di essere squallidi.