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Il gitano Gatlif

Con Exils, premiato a Cannes con la Palma d'oro alla miglior regia, Tony Gatlif prosegue il suo viaggio, e la sua storia di appassionato regista, etno-musicologo, nomade contemporaneo.

Tony Gatlif

12.04.2007 - Autore: Michela Saputi
«Alla base del mio lavoro c\'è sempre una domanda..delle ragioni concrete e fondamentali che mi possano indurre a farlo”. Ecco la storia di un uomo che non pensa ci sia “alcuna soddisfazione nel lavorare esclusivamente per la fama o per i soldi” e che è riuscito a rintracciare dentro di sé uno stimolo più forte, una spinta emotiva, per trasformarlo nel suo personalissimo inno alla vita.   Trasferitosi in Francia all’inizio degli anni ‘60 Gatlif dedica alla sua terra d’origine, l’Algeria, La terre au ventre (1978), racconto della guerra algerina attraverso il vissuto di una madre con i suoi quattro figli, mentre le pellicole Rue du départ (1985), e Pleure pas My Love (1988) con Fanny Ardant, esplorano i temi della marginalità e dell’esclusione. Ma il nome di questo regista, metà algerino e metà gitano, resta soprattutto legato al suo modo assolutamente unico di raccontare il viaggio, quel “richiamo alla partenza”, e ad un incontro con gli altri e con se stessi, sempre mediato dalla musica. Manifesto emblematico è Latcho Drom (1992), parte di un trittico dedicato al popolo rom, insieme a Les princes (1982), (Grand prix festival européen du film - Munich , Grand prix festival de Taormina , Epi d\'argent - Festival du film de Vallaloid ) e Gadjo Dilo (1997). Latcho Drom, in lingua romanés \"Buon viaggio\" , è un “documentario musicale” che ripercorre il viaggio storico degli zingari dall\'India all’Andalusia - passando per l’Egitto, la Romania, l’Ungheria e la Francia- lungo le tracce di un cammino segnato da contaminazioni e scambi tra il popolo gitano ed i paesi attraversati. In “Gadjo Dilo Lo straniero pazzo” (Pardo d\'Argento a Locarno) , è la voce di una cantante incisa su nastro a spingere un giovane parigino fino in Romania, mentre in “Vengo. Demone flamenco” (2000) il ritmo passionale dell’ Andalusia permette a Caco, il protagonista, di esorcizzare il dolore per la perdita della figlia, in compagnia di un nipote affetto da un grave handicap e da un inguaribile amore per la vita ed il divertimento. Protagonista assoluto di Swing (2001) è il jazz manouche, nato dalla fusione del jazz anni Trenta e il folklore gitano, con la partecipazione del leggendario chitarrista rom Tchavolo Schmitt. E’ un percorso che segue i fili della continua sperimentazione di filmare la musica, restituire nelle immagini ritmi e accordi, per esprimere la relazione tra note e vita. Un film di Gatlif è prima di tutto un’esperienza, che non si osserva, ma si vive, immergendosi fino a sentire la sensualità di pelle e sudore, il sapore della terra, o dell’erba, lo spessore degli oggetti. Così questa musica ci racconta dei popoli e della loro storia, della forza e del significato antico di rituali che unificano le nazioni in un comune “sentire mediterraneo”. Ed arriviamo ad Exils (2004), dove il viaggio di Naima e Zamo, due giovani francesi di origini algerine, verso la terra dei loro antenati (secondo un percorso inverso rispetto ai grandi flussi migratori di questo secolo) rende l’Europa “un ponte tra due mondi “ ordinariamente contrapposti. A noi che come Naima,viviamo destabilizzati, vittime dell’illusione di poter rinunciare alle nostre origini per essere liberi da condizionamenti, profughi di una patria perduta , Exils insegna il rispetto per la vitalità di qualsiasi ceppo culturale ed etnico , e la libertà di essere cittadini del mondo. Come nel rap francese che da l’incipit al film: è un’urgenza, una questione di democrazia.  
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