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Il genio di Greenaway
La storia di Moab, è il primo appuntamento con la trilogia "Le valigie di Tulse Luper", l'ambizioso progetto di Peter Greenaway di dare compimento e sintesi alla sua personale mitologia.
12.04.2007 - Autore: Michela Saputi
"Le valigie di Tulse Luper La storia di Moab"
di Peter Greenaway
con JJ. Field, R.J. Barry, V Cervi
Riti di fondazione, costruzione del paesaggio umano, religione e guerra, storia dell'arte e leggi dell'immagine ci catturano in una visionaria quanto lucida messa a fuoco del nostro presente e del ruolo che il cinema come arte è tempo che assuma.
Tulse Luper, alter ego del regista, cercherà cose perdute intorno al mondo e dentro la memoria di un XX secolo incalzato dall'incubo della guerra. Dal 1928, anno in cui l'uranio (numero atomico 92) entra nella tavola degli elementi, al 1989, caduta del muro di Berlino, Luper supererà 16 imprigionamenti, fisici e non, ricavandone 92 valigie, ed incrociando le vite di 92 personaggi .
In questa prima parte vediamo la Gran Bretagna degli anni '20, la prima prigione, la prima valigia, per poi arrivare nel deserto dello Utah -USA- alla ricerca di civiltà perdute. Qui incontriamo una inquietante famiglia di Mormoni, che perseguiterà il protagonista fino ad Anversa, ultima tappa, dove è arrestato, per la sua segreta attività antifascista, in una stazione.
Una fidata segretaria è incaricata intanto di catalogare i suoi materiali.
In un gioco alterno di presenza/assenza, la vita di Tulse si costruisce attraverso il contenuto delle valigie che raccoglie, interviste di esperti, spezzoni di sceneggiatura che scorrono in sovrimpressione. Ad un certo punto scomparirà dalla storia, finchè sapremo di un convegno organizzato su di lui in un museo di New York.
Una vita in viaggio è la perfetta metafora della popolazione mondiale, sempre più coinvolta in uno stato di movimento continuo. Un movimento attraverso prigioni , spesso invisibili, "in cui si cade e da cui comunque si esce" sempre con un bagaglio arricchito di storie e di vite intere, se stessi e gli altri sempre più stratificazioni di informazioni.
Un film composto di spostamenti fino all'interno delle immagini che potenza e seduzione delle nuove tecnologie - frantumano le barriere del cinema tradizionalmente inteso come lineare illustrazione di un testo.
L' arte delle immagini in movimento riafferma la propria libertà di manipolare il mondo: finestre che germinano l'una dall'altra, didascalie, link, classificazioni, continue scomposizioni di campi e controcampi, spazi e tempi simultanei che compenetrano corpi e geografie in un "luogo psichico".
Greenaway ci conduce in uno splendido universo immaginario dissolvendo i limiti del set, un sistema artificiale riguardabile da un punto qualsiasi, all'infinito, sollevando domande, suggerendo percorsi alternativi, in un rimando continuo alle estensioni multimediali del film (libri, dvd, cd rom e quant'altro) - dove è possibile ad esempio esplorare il contenuto delle valigie (pornografia del Vaticano, rane di sughero simbolo di un gruppo di assassini europei, carta da parati insanguinata .. sì, manie, ossessioni e colpe del caro '900).
Superfluo descrivere le vicende del protagonista, in un'opera d'arte totale, che sempre più si configura come evento, performance, in cui lo spettatore è chiamato ad interagire, a ritrovare se stesso in un'esperienza.