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Il figlio

Il figlio

Il figlio

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Di Luc e Jean Pierre Dardenne Con Olivier Gourmet, Morgan Marinne, Isabella Soupart (\'The son\' - Belgio, 2002)   Cosa proveresti se, nella tua falegnameria, venisse a lavorare colui che cinque anni prima ha ucciso tuo figlio? Cosa proveresti se si trattasse semplicemente di un adolescente che, scontata la sua pena in carcere, si ritrovasse ora spaesato, fragile ed indifeso? Da queste semplici ma forti premesse sono partiti i fratelli Dardenne per consegnarci uno dei personaggi più realistici e strazianti degli ultimi tempi. Olivier (Olivier Gourmet), padre dal cuore lacerato ma non ucciso dal dolore, si sforza appunto di capire attraverso listinto, il sentimento che mantiene in sé, e non attraverso la ragione e la rabbia della vendetta. Perché lo fai? gli chiede lex moglie Magalì (Isabella Soupart) incapace di perdonare; Non lo so, risponde lui, ed è la verità. Sincero, timido, frenato, Olivier vive questa esperienza-limite sul proprio corpo, e per questo la regia dei Dardenne è preziosa nel braccare principalmente laspetto fisico del personaggio, più che la sua psiche. La macchina da presa lo segue sempre, gli sta attaccata, sembrerebbe quasi che cercasse di entrargli dentro per capire le motivazioni dei suoi gesti; eppure niente: Olivier è troppo umano per essere spiegato dal mezzo-cinema. A dare poi la definitiva credibilità a questa tragica e poetica figura ecco la grande interpretazione di Gourmet, omino qualunque capace di esternare e rendere alla perfezione tutte le piccole sfaccettature della persona comune che si trova in una situazione troppo dolorosa, più grande di lui. Il corpo di questattore si presta come poche volte ad essere indagato, scandagliato, avvolto dai suoi registi, che ormai lo hanno eletto proprio feticcio. Film di fortissimo impatto emotivo e viscerale come del resto tutto il cinema dei Dardenne Il Figlio rimarrà dunque impresso nella nostra memoria per la bellezza del personaggio principale e la bravura del suo protagonista. Per il resto, dobbiamo però constatare che la pellicola non raggiunge la coerenza e la sincerità dei lavori precedenti, soprattutto di Rosetta (id., 1999). Il punto a sfavore sta proprio nella regia dei due autori, che stavolta insiste troppo nella propria scelta stilistica, fino a diventare quasi un esercizio ed un manifesto programmatico; nella prima mezzora la m.d.p. non fa altro che seguire Gourmet alle spalle senza inquadrarlo mai in volto, cosa che invece che dare una sensazione di realismo, alla fine determina al contrario una presenza troppo accentuata dellautore dietro la messa in scena. Anche in altri punti poi vi sono dei virtuosismi a nostro avviso non necessari, e piuttosto incoerenti con lestetica di tutto il cinema dei Dardenne. Sembra come se, a forza di cercare di essere testimoni invisibili, i cineasti avessero sviluppato una radicalizzazione di questo concetto, tanto forte da renderlo però lesatto contrario. La m.d.p. non sembra più essere lì per caso, e questo indubbiamente disperde ogni tentativo di realismo.