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Giordana a Cannes

Intervista a Marco Tullio Giordana il regista de "La meglio gioventù" che ha presentato in concorso al Festival di Cannes il suo ultimo film "Quando sei nato non puoi più nasconderti"

Marco Tullio Giordana

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
D – Lei è un grande osservatore empatico della realtà italiana. Com’è nata l’idea di parlare del tema degli immigrati?
M.T.G. – Se in questo momento guardiamo al nostro paese, ci accorgiamo che sta diventando una società multietnica. Per noi è una novità, non abbiamo avuto una politica coloniale come Francia o Inghilterra, non eravamo preparati a queste ondate. Non abbiamo avuto esperienza del contatto con “l’altro”. Noi abbiamo vissuto piuttosto l’esperienza dell’emigrazione in passato, e conosciamo bene il dolore la difficoltà di andare in paesi lontani. Purtroppo, non sempre ce lo ricordiamo…

D – C’è un messaggio politico nel suo film, riguardo la questione dell’immigrazione?
M.T.G. – In questi giorni è molto forte il dibattito sull’integrazione europea. Ma al suo interno non c’è anche la questione dell’immigrazione? Non si tratta dunque soltanto di integrare le culture europee, ma anche quelle degli immigrati. La storia va certamente in questa direzione, che lo si voglia o no, quindi è indispensabile cercare di governare questo processo irreversibile invece di chiudersi.

D – Il film racconta l’immigrazione partendo però da un'altra tragedia, la perdita di un figlio. Come ha scelto di partire da questa vicenda?
M.T.G. – Secondo me, quando sarà possibile, sarà molto interessante vedere un film sull’immigrazione in Italia girato da immigrati. Dovrebbero raccontare loro la propria storia, per noi è più difficile penetrare veramente nella loro vicenda personale. Per provare a fare questo ho pensato ad un cambio radicale di prospettiva: se io mi trovassi in una situazione in cui non sono più italiano, e per di più sono privo di pregiudizi e razzismo come può essere un bambino? E se avessi anch’io bisogno degli altri?

D – “Quando sei nato non puoi più nasconderti” può essere interpretato come un film sul senso di colpa degli italiani?
M.T.G. – Purtroppo no, poiché credo che gli italiani non abbiano mai provato un vero senso di colpa. Sono soltanto capaci di liberarsi della propria memoria cambiando continuamente casacca. Quelli che invece si pongono dei problemi vivono invece un costante sentimento di frustrazione, dal momento che sanno di essere una totale minoranza. Noi abbiamo la peggiore classe politica possibile, che di sicuro non si occuperà di questi problemi; ma forse sono i cittadini a poter fare qualcosa: nella vita quotidiana può prevale a pretesa di rispetto, sia esso dato che ricevuto. Dobbiamo ricordarci sempre che le culture possono sopravvivere soltanto nell’evidenza delle loro differenze, rese possibili dal rispetto reciproco.A me piacciono glia altri proprio perché non sono me…

D – Come ha fatto a trovare il giovane e bravissimo protagonista, Matteo Gadola?
M.T.G. – Hai ragione, è davvero superbo. Avevo già deciso di ambientare il film a Brescia, per cui ho fatto provini a ragazzi abitanti nel luogo. Avevo già selezionato una decina di ragazzi che per me potevano andare bene, poi ho incontrato Matteo e sono rimasto affascinato dalle sue doti di determinazione, sensibilità, coraggio ed intelligenza. Di solito si dice che i registi odiano lavorare con i bambini, ma lui è già un adulto…

D – Lei parla del ragazzo come di un attore già formato. L’ha diretto molto da vicino o gli ha lasciato libertà nella sua interpretazione?
M.T.G. – In realtà è stato Matteo a dirigere il film! Già dal secondo giorno di riprese aveva capito tutto, sapeva perfettamente come andava ideato e girato un film. Palavamo ad esempio di obiettivi da usare, ed aveva tutto sotto controllo. Quando si lavora con dei bambini, penso che non si debba pretendere di dirigerli; io in realtà non lo faccio neppure con gli adulti. Penso che un regista debba rubare l’intimità e le emozioni degli attori, perché altrimenti si ottengono soltanto le istruzioni che si è loro impartite. Bisogna consegnare gli attori il copione, e loro devono interpretarlo secondo il loro punto di vista.

D – Si tratta di un film dal budget elevato, con addirittura sei settimane di riprese in alto mare. La scena cruciale del film è la caduta di Matteo in acqua. Com’è stata girata?
M.T.G. – L’ho girata una prima volta, ma visionando il materiale non ne sono rimasto soddisfatto. L’abbiamo allora girata di nuovo, cambiando le angolazioni e la luce delle inquadrature. La seconda volta ho utilizzato un splash-camera che prima non avevo previsto, per cui ho dovuto dire a Matteo di ricominciare di nuovo.

D – Perché ha scelto di girare a Brescia? E che tipo di ruolo ha Alessio Boni?
M.T.G. – Ho scelto un ambiente ed un personaggio che incarnassero in un certo senso la nuova borghesia italiana, che ancora al cinema non è stata raccontata. Questa dovrebbe essere la classe dirigente del futuro, ma al momento è interessata solo al guadagno e non sente la responsabilità del suo compito. Per questo motivo ho scelto Brescia, che contiene questa tipologia di classe sociale non reazionaria o priva di sensibilità sociale, ma che ha voglia di fare anche se non sa ancora come…

 D – Dopo il grande successo de “La meglio gioventù” come mai ha scelto questo film?
M.T.G. – Credo che questa storia sia un po’ la terza parte de “La meglio gioventù”. E’ un film sulla trasformazione dell’Italia di oggi, che si trasforma da società industriale a multietnica e multiculturale. E’ un passaggio importante, è il contesto sociologico del film: sono partito da questa idea per sviluppare poi il progetto cinematografico. La sceneggiatura è stata ispirata dal libro fantastico di Maria Pace Ottieni. Il personaggio interpretato da Matteo ha la stessa generosità ed eticità della famiglia Carati de “La meglio gioventù”.

D – Come mai ha scelto per questo film le musiche de “Gli anni in tasca” di Francois Truffaut?
M.T.G. – Per me la musica composta per i film è paragonabile alla musica classica, per cui alcune grandi colonne sonore sono come dei brani classici. Per me inoltre c’è una specie di rima poetica tra musica e film. Ho usato la musica de “Gli anni in tasca” di Truffaut perché è un film sulla generosità, come in fondo considero il mio. Avevo già utilizzato Georges Delerue anche per “La meglio Gioventù”. Qui invece ho scelto anche Michael Nyman e Tom Waits.