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David Bowie

David Bowie, figura carismatica e poliedrica, trasformista e provocatoria, unico non solo in senso strettamente musicale, ma anche per il modo di proporsi sul palco, per l'uso della teatralità e dell'artificio e per l'abilità di mescolare influenze musicali, visive e narrative molto diverse.

Glam Rock

19.05.2009 - Autore: Tommaso Ausili
Quando, nel 1962, il giovane George Underwood sferrò un violento pugno sull\'occhio dell\'amico David Robert Jones, ledendogli irreversibilmente la pupilla sinistra e modificandogli il colore di un occhio, non poteva certo immaginare che aveva appena contribuito a creare lo sguardo più magnetico e impenetrabile della scena rock degli ultimi 30 anni. Il ragazzo con un occhio azzurro e uno verde, infatti, sarebbe diventato di lì a poco David Bowie, figura carismatica e poliedrica, trasformista e provocatoria, unico non solo in senso strettamente musicale, ma anche per il modo di proporsi sul palco, per l\'uso della teatralità e dell\'artificio e per l\'abilità di mescolare influenze musicali, visive e narrative molto diverse: dal teatro giapponese ai fumetti, dalla fantascienza al mimo, dal cabaret a Burroughs. E\' impensabile, infatti, credere di poter slacciare il musicista Bowie dalle mille trasformazioni e dal caleidoscopio di alter ego a cui ha dato vita e voce per guardare al mondo con un occhio diverso: su tutti Ziggy Stardust, alieno androgino dalla pelle lattea e capelli arancioni, icona glam che lo stesso Bowie, rimastone imprigionato, ha ucciso nella canzone Rock \'n Roll suicide rendendolo paradossalmente immortale; e il Thin White Duke, altezzoso e glaciale, snob ed elegante eroe di un mondo cupo e arido, che riflette le nevrosi dell\'uomo moderno. Nell\'arco della sua sterminata produzione discografica Bowie ha spaziato in lungo e in largo per tutti i campi dello scibile musicale, spiazzando ad ogni uscita critica e pubblico. Dai suoni acustici e dalle liriche intimistiche degli esordi (Hunky Dory e The Man who sold the world, entrambi del 1971), è approdato al \"plastic soul\" di Young Americans (1975) e di Station to Station (1976), intrisi di sonorità soul e R&B, per poi convertirsi al techno-rock di Low, Heroes e Lodger (confezionati a Berlino tra il 1977 e il 1979 con la collaborazione di Brian Eno), fino alla virata decisamente pop (seppure in versione extra lusso) avvenuta nel 1983 con l\'album Let\'s dance, che ha fatto gridare allo scandalo i puristi del rock ed entusiasmare tutti gli altri. In mezzo i suoni spaziali di The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars (1972), unanimemente considerato il suo capolavoro, definito dalla rivista Melody Maker \"l\'album che ha ucciso gli anni 60, il disco più influente degli anni 70, da portare con sè negli anni 80\", a dimostrare la capacità di Bowie di tagliare trasversalmente le epoche. Oggi a 55 anni, dal suo ritiro di Manhattan, si gode i frutti del suo ultimo lavoro, Heathen, monito sul paganesimo dei nostri giorni, e dice di essere solo un vecchio musicante che vuole tornare presto a casa la sera dalla sua famiglia. Se si tratti dell\'ennesima maschera indossata dal Duca Bianco non è ancora dato saperlo, ma una cosa è certa: guai a dargli del camaleonte: \"E\' qualcosa che si mimetizza per apparire il più possibile come l\'ambiente che lo circonda. Io ho sempre fatto l\'opposto\".  
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