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City of Ghosts

L'esordio alla regia di matt Dillon. Un thriller d'atmosfera in un Oriente torbido e saturo di violenza.

City of Ghosts

12.04.2007 - Autore: Chloé Barreau
Passa dall'altra parte, Matt Dillon, con City of Ghosts, il suo primo film da regista, in uscita venerdi. Passa dall'altra parte, e non solo della cinepresa, dall'altra parte del mondo, in un Oriente torbido e saturo di violenza. A distribuirlo è la Fandango, con un centinaio di copie, in una versione purtroppo diminuita dal solito doppiaggio.   Un truffatore newyorkese in fuga verso la Cambogia, alla ricerca del socio e mentore Marvin - ecco Jimmy, il protagonista, interpretato da un Matt Dillon più maturo. Si ritroverà coinvolto in un imbroglio tra mafia di espatriati e criminalità locale. La Phnom Pehn di Dillon è infatti una città di fantasmi madida di miseria, territorio di ombre che digerisce gli estranei e li sregola impercettibilmente.   James Caan ovviamente se la cava bene nel suo costume di mafioso tagliato su misura; Depardieu tira fuori la petulanza grezza con diletto, interpretando il padrone di un locale malfamato; il casting è internazionale. L'eccelente danese Stellan Skasgard (Onde del Destino), semina il dubbio e vampirizza il film con la sua ambiguità. Con il tassista-velocipede Sok, «couleur locale», la storia trova un supplemento d'anima : sul viso dolce di quest'attore non-professionista che recita se stesso, affiora l'esperienza sconvolgente di una generazione sacrificata dai Khmer Rossi. La britannica Natascha McElhone ci prova, con le sue false arie di Meryl Streep, in una storia d'amore insipida.   Il film ci lascia frustrati. Questo « thriller d'atmosfera » - come lo definisce Dillon-stesso - soffre precisamente del fatto di trovarsi in una via di mezzo : combatutto tra le velleità del cinema d'autore (di cui assume la forma , le referenze e i tempi narrativi) e un intrigo bolso e scontato, popolato da personaggi semi-caricaturali. In questo miscuglio, finisce che l'atmosfera ci catturi più del thriller . L'azione piena di clichés viene sconfitta dalla tela di fondo, i colpi di scena si esauriscono fino a una più sana contemplazione in cui il film trova finalmente la sua singolare bellezza.   In un movimento quasi inconsapevole, il percorso iniziatico di Jimmy, come la ricerca del padre, diventano quelli del nostro regista agli esordi. Colpisce l'evidente sincerità. Lasciamo perdere la storia. Come una bella lezione d'Oriente, City of Ghosts si chiude in un'indeterminazione malinconica e penetrante, languisce nel dolce fluttuare di una spiritualità che lo avvolge, noi compresi. Il viaggio ne è comunque valso la pena.