Id., Usa, 2005
Di Mark Dindal;
voce italiana di Gabriele Birilli; voci originali di Zach Braff, Johan Cusack, Steve Zahn.
Il giovane polletto Chicken Little
vive con la costante preoccupazione di dover dimostrare a suo padre, un
eroe del baseball, di essere alla sua altezza. Convinto di poter
riuscire a combinare qualcosa di buono, si affanna in mille progetti
che puntualmente finiscono in clamorosi insuccessi: la città ha smesso
di fidarsi di lui quando è diventato lo zimbello di tutti affermando
che il cielo stava precipitando sulla terra; da allora il ragazzo viene
considerato da tutti come un incurabile inetto. Quando però Chicken
Little entra di prepotenza nella squadra di baseball, l’occasione di
riscatto si trasforma in una strepitosa vittoria: ottenuta nuovamente
l’ammirazione del padre, il pulcino adesso si sente finalmente
realizzato. Il problema però è che un a sera il cielo comincia di nuovo
a precipitare…
Dopo aver assistito al confronto tra Pixar e DreamWorks per il
monopolio sul cinema d’animazione digitale, negli ultimi anni
stiamo registrando il tentativo delle grandi Major di inserirsi in
questa “battaglia artistica”, combattuta a suon di capolavori come “Toy Story” (id., 1995) e “Gli incredibili” (The Incredibles, 2004) da un parte, e”Shrek” (id., 2002) e “Madagascar” (id., 2005) dall’altra. Con questo “Chicken Little”
tocca alla Disney provare la via del computer, con un risultato che
francamente testimonia l’arretratezza della storica casa di produzione
rispetto ai due colossi più giovani ed intraprendenti. Lo scarto
maggiore si nota subito riguardo alla strutturazione delle storie:
rispetto alle fantasiose sceneggiature che i prodotti Pixar e DramWorks
posseggono, il lungometraggio di Dindal si poggia su una storiellina
esile esile, che sembra sempre svicolare da un momento all’altro verso
la retoricità e la noia. Sia il giovane protagonista che quelli che
dovrebbero essere in teoria gli spassosi personaggi di contorno non
hanno un preciso spessore psicologico, e conseguentemente anche a
livello narrativo non riescono ad incidere più di tanto. Per quanto
riguarda il lavoro sull’animazione digitale, la resa sul grande schermo
sembra essere anni luce distante dai notevoli risultati delle due
neonate Major, anche riguardo i loro rispettivi tentativi su un tipo di
animazione maggiormente stilizzata a livello visivo - vedi ancora
“Gli incredibili” e “Madagascar”.
Piuttosto scialbo nei contenuti e nello sviluppo drammatico della
sceneggiatura, e per di più ancora arretrato sotto il punto di vista
della ricerca estetica sull’animazione al computer, questo “Chicken Little”
sembra confermare il momento di nuovo appannamento che sta vivendo la
Disney, almeno a livello artistico. Il pubblico in America ha comunque
premiato questo tentativo, che alla fine di novembre ha guadagnato al
botteghino statunitense quasi 120 milioni di dollari. Speriamo che il
successo commerciale spinga la Disney a tentare di migliorarsi…


NOTIZIE
Chicken Little
Dopo aver assistito al confronto tra Pixar e DreamWorks per il monopolio sul cinema d'animazione digitale, tocca alla Disney provare la via del computer per una storia d'animazione

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani