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Audrey Tautou non è Amelie
Un "personaggio nuovo" del cinema del vecchio continente. Sì, ma non è che resterà per sempre invischiata in un vortice di cuoricini, ambientazioni da favoletta, lieto fine, principi azzurri, desiderio di cambiare il mondo e un pizzico di surrealismo?
12.04.2007 - Autore: Maria Elena Capuano
È ormai nelle sale Tu mi ami la commedia dell'americano Amos Kollek che ha come protagonista la deliziosa Audrey Tautou, per tutti Amélie Poulain. Il tema è quello di un'aspirante attrice che dalla provincia francese sbarca a Manhattan armata di pochi bagagli, tanta voglia di sfondare e una scopa al suo seguito. Nonostante le annunciate, inevitabili difficoltà, Val riuscirà a raggiungere il tanto sospirato successo e quindi l'immancabile happy end. La commedia dolce e senza grandi pretese, una sorta di "Colazione da Tiffany" a cui vorrebbe lontanamente assomigliare, manifesta subito i suoi intenti e soprattutto i suoi vani tentativi di rappresentare un film sopra le righe. Ancora una volta la Tautou pare ispirare situazioni surreali, personaggi improbabili, sequenze al limite della credibilità. Kollek mescola la commedia americana con personaggi a metà tra cinema spagnolo e francese: un pasticciaccio che si lascia vedere con qualche riserva e forse proprio perché a intrecciare la storia è l'adorabile Audrey Tautou. La stessa locandina del film pare più una mossa pubblicitaria, neanche tanto studiata, che il manifesto dell'epopea della spaesata Val: vi compare l'ormai celebre "cameo" di Amélie e i suoi capelli all'insù.
Il problema di fondo è che non riusciamo proprio a toglierci dalla mente lo stereotipo di Amélie che Jean Pierre Jeunet le ha cucito addosso. Un volto espressivo, un corpo delicato, un senso di freschezza che emana la sua persona, quasi un profumo di fresco, di buono che ci sembra di sentire quando la vediamo aggirarsi nei mercatini di Montmartre e tuffare le delicate manine nei sacchi dei legumi, o quando con i suoi occhi immensi spacca di gusto la croccante crosta della crème brûlée o quando con fare testardo e innamorato perseguita il suo cardiologo fino alla follia, o quando fa la fidanzatina abbandonata dal suo "studente a Barcellona per l'Erasmus", o ancora quando è un'estetista che ha come unico scopo nella vita quello di far star bene le persone. Sicuramente deliziosa, quasi un cartone animato, colorata, morbida e solare, buffa, stralunata, dolcissima e malinconica. Ma rischia di rimanere Amelie per sempre. Un personaggio inventato, originale. Geniale.
Un vero peccato se consideriamo che già al suo debutto nel '99 con Sciampiste & Co. di Tonie Marshall vinse il premio César come migliore attrice emergente e se pensiamo al successo planetario del favoloso mondo di Amélie che l'ha consacrata sul grande schermo. Anche se per puro caso, visto che la parte era inizialmente di Emilie Watson che ha rinunciato all'ultimo minuto. In ogni modo una grande invenzione e il film un piccolo capolavoro. Un vero goiellino. Forse la nostra strampalata eroina dovrebbe fare una selezione più accurata dei copioni che lo offrono. E i titolisti italiani dovrebbero evitare di stravolgere un "Nowhere to Go But Up" in un "Tu mi ami", più musicale, ma troppo mieloso.