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Alexander

Pothos in greco antico significa rimpianto e desiderio, brama potentissima in cui tutto si fonde: passato presente e futuro. Oliver Stone non ha voluto che il termine fosse tradotto pur di spiegare a chi lavorava al film la personalità di Alessandro Magno.

Alexander

12.04.2007 - Autore: Matteo Nucci
  “Alessandro Magno aveva l’abitudine di tenere il collo lievemente inclinato verso sinistra, come chi indugia riflettendo intorno a se stesso o a qualcosa. Lo sguardo, colmo di “una effusa e liquida dolcezza”, era quasi sempre rivolto verso l’alto a seguire i presagi, i cenni e le rivelazioni, che si affacciavano tra le nuvole del cielo. La carnagione era bianca, delicata, con sfumature color rosso porpora sulle guance e sul petto: la pelle emanava un profumo, che impregnava le leggere tuniche di lino. (…) Quando leggiamo questa pagina di Plutarco, o contempliamo al British Museum la copia del famoso ritratto di Lisippo, abbiamo l’impressione di conoscere un giovane sognatore appena atteggiato, uno di quei ricchi e squisiti dilettanti di letteratura e filosofia, che nei dialoghi di Platone escono dalle quinte per pochi minuti. Anche Alessandro sarebbe potuto diventare un semplice amatore di letteratura (…) Ma Alessandro non era nato per questi destini modesti, oscuri e invidiabili. L’efebo dalla testa inclinata diventò il più grande conquistatore che la storia abbia mai conosciuto”.   Così scrive Pietro Citati nella prima pagina di una bella biografia letteraria. Sono passati più di vent’anni da quel libro e finalmente anche il cinema ha il suo Alessandro. Non l’ha dipinto un regista erudito né un europeo nostalgico e non si potrà temere che l’Alessandro del cinema possa indurre a pensare a un efebo delicato perso nelle proprie fantasie di gloria. Perché l’Alessandro – anzi l’Alexander – che Oliver Stone ha creato per il cinema attraverso il talento di Colin Farrell non è altri che il più grande sognatore e il più grande conquistatore che la storia abbia mai conosciuto. Tiene la testa inclinata anche Colin Farrell, ha carnagione chiara, occhi spesso coperti da una liquida dolcezza, ma c’è anche la forza, la determinazione e l’audacia, il vigore e la passione – la brama che rese Alessandro semplicemente il più grande.   C’è qualcosa di curioso nel fatto che sia stato un americano a portare finalmente sul grande schermo la vita di Alessandro Magno. Si potrebbero temere vizi di ogni genere, infatti: dalla superficialità dei dettagli alla poca fedeltà della ricostruzione storica, dalla deformazione del carattere dei personaggi all’esaltazione di uno spirito completamente estraneo ai tempi. Niente di tutto ciò. “Alexander”, frutto di anni e anni di lavoro e molto più di sogno, è film quasi impeccabile, certo grondante, letteralmente fradicio della passione entusiasta del regista, dell’attore protagonista e di quell’uomo solo che fu Alessandro, segnato per sempre dal pothos, il desiderio pieno di futuro, la passione che divora presente e passato insieme, quel pothos intorno a cui Oliver Stone ha lavorato senza tregua, impedendo che la parola greca venisse tradotta in alcuna altra lingua moderna.
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