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A tu per tu con Iwan Rheon

La nostra intervista ad Iwan Rheon, l'inquietante Simon di Misfits. Tra musica, fan e domande, il giovane attore non è affatto invisibile

Iwan Rheon

27.09.2011 - Autore: Valeria Roscioni e Alessia Laudati
A guardarlo si direbbe di essere in un film Indie con tanto di corridoi della scuola e Michael Cera pronto a sbucare fuori in shorts da corsa. Iwan Rheon è arrivato al Roma Fiction Fest 2011 per incontrare il pubblico e le ragazzine sono subito impazzite. Al momento delle domande una gli ha persino chiesto se aveva voglia di andare a cena con lei. Incredulo del successo di Misfits, del tutto inaspettato stando ai suoi racconti, e delle ammiratrici che adorano il suo Simon, Iwan ha risposto alle prime quattro domande cominciando ogni volta con un impacciato “Hallo!” facendo ridere tutti. Noi lo abbiamo incontrato.

In genere i serial inglesi rispetto a quelli  americani danno vita ad una realtà molto meno patinata. Volevo sapere cosa ne pensi di questa differenza e come ti sei trovato a dare vita ad un personaggio così problematico?
La difficoltà di questo lavoro è proprio questa: rappresentare delle persone vere, delle persone che nella realtà provano e sentono quello che tu stai cercando di rappresentare con il tuo personaggio, bisogna cogliere il loro modo di essere nella vita reale. E per noi questo è particolarmente difficile perché è vero: le nostre storie sono più dure, più spigolose di quelle dei serial americani. Nel mio caso, poi, è ancora più complesso perché devo starmene in un angolo ad ascoltare ed esprimere tutto con le espressioni del viso dato che non ho molte battute e Simon è molto riflessivo.

In Gran Bretagna spesso si dà vita a serie che non tengono conto del grande pubblico. Misfits è la prova di come si possa creare un ottimo prodotto anche così. Secondo te perché, invece, in America si continua a tener conto del Business anche a discapito delle storie?
È chiaramente una questione di soldi. Anche se l’approccio in America deve essere diverso dato che le serie sono più costose, gli episodi più numerosi, il denaro è molto più in gioco. Io comunque credo che il successo di Misfits sia anche in parte un caso. La tempistica è stata perfetta, noi abbiamo cercato di indirizzare un certo tipo di pubblico, è vero, ma le persone hanno recepito subito.

Questa serie racconta di adolescenti problematici. L’intenzione è quella di rivolgersi ai ragazzi che davvero vivono in situazioni di estremo disagio?
Per quel che riguarda le intenzioni non posso rispondere perché non l’ho scritto io. Però  credo che Misfits riesca ad affrontare alcuni problemi in maniera originale ed intelligente perché non ha l’impostazione “Non fare questo, non fare quello” ma punta a dire queste cose mostrandole, magari anche attraverso l’utilizzo dei poteri, senza imporle.

Sappiamo che suoni in una band, vogliamo sapere qual è il tuo rapporto con la musica?
La musica è la cosa che preferisco di più al mondo, registro e suono ogni volta che posso. Infatti ho un nuovo LP in preparazione, This Changing Times, che dovrebbe uscire in un paio di settimane.

Un’ultima domanda. I poteri dei Misfits nella prima stagione erano stati assegnati dagli autori in base ai caratteri dei personaggi. Seguendo questo criterio che superpotere avresti scelto per te stesso?
Sicuramente il teletrasporto.

E a questo punto sorride. In leggero ma divertito imbarazzo. Somiglia a Simon.


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