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40 anni vergine

I 109 milioni di dollari incassati in patria lanciano questa commedia sul mercato italiano e fanno conoscere al pubblico un nuovo alfiere imbranato: Steve Carell

40 Anni Vergine

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
40 Year Old Virgin, Usa, 2005
Di Judd Apatow; con Steve Carell, Catherine Keener, Paul Rudd, Elizabeth Banks


Il quarantenne Andy (Steve Carell) vive la sua vita in maniera fin troppo cadenzata: lavora come magazziniere in un negozio di elettrodomestici, ha una casa piena di pupazzi e cimeli della gioventù, e non ha un rapporto propriamente idilliaco con l’altro sesso. Quando i suoi colleghi vengono a sapere che Andy è ancora vergine, il loro svago principale diventa immediatamente quello di trovare una donna disposta ad alleviare questo suo pesante fardello. Il fatto però è che l’uomo è talmente timido e complessato da riuscire in qualche modo a mandare in fumo tutti i loro tentativi. Nella vita del protagonista un giorno entra però Trish (Catherine Keener), e l’amore che sboccia tra i due metterà a serio repentaglio la verginità di Andy…

In un periodo in cui la commedia ridanciana americana sembra aver finalmente trovato degli alfieri che possono risollevarne le sorti popolari – vedi i vari lungometraggi più o meno riusciti di comici come Adam Sandler, Ben Stiller, Will Ferrell, Vince Vaughn o Owen Wilson –  il successo americano di questo “40 Anni vergine” potrebbe lanciare definitivamente anche la carriera di Steve Carell, assoluto protagonista del film e visto fino ad ora solo in ruoli da “spalla”.

I 109 milioni di dollari incassati in patria garantirà dunque la popolarità del caratterista e del suo lavoro, ma non può comunque migliorare il nostro giudizio su una pellicola che quasi nulla ha di sensato. Se l’esempio del frizzante e divertentissimo “2 Single a nozze” (The Wedding Crashers, 2005) ci aveva assolutamente ben disposto verso questo genere, l’inconcludenza del film di Apatow ci ha immediatamente riportato alla giusta dimensione: bislacco e scontato nella costruzione dei personaggi, diretto senza nessuno slancio, incapace di cambiare ritmo sia nella narrazione che nella costruzione delle (solite) gags, “40 Anni vergine” ha poi il pessimo difetto di avvicinarsi alle due ore di proiezione: perché tanto spreco ci chiediamo, quando la pochezza delle idee è immediatamente lampante? Se a questo toglie addirittura il ritmo, allora cosa rimane? Nulla, appunto…

Ciò che può rendere valevoli questo tipo di pellicole è l’inserimento tra le righe di uno spirito iconoclasta e sbarazzino, che in qualche maniera mette alla berlina con lucida cattiveria il modo di vivere e di pensare di una società votata alla mera apparizione: di questo spirito la pellicola non possiede neppure una briciola, e tantomeno il suo protagonista; Steve Carell ha indubbiamente una faccia simpatica, ma non possiede in alcun modo né le capacità espressive di uno qualsiasi dei comici citati sopra, e né tanto meno la volontà di proporre al pubblico uno spettacolo intelligente.

Se si vuole provare a ridere con “40 Anni vergine” l’unico modo possibile è quello di accontentarsi di ovvietà e beceri doppi sensi: il che significa che siamo davvero lontani dalla vera comicità, anche quella più sboccata e fracassona che il cinema americano ci ha riproposto di questi tempi.