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Tim Burton torna a raccontare il nascosto, ma senza convincere la critica Usa

Si parla di evoluzione, ma anche di fallimento. E gia' i fan temono per l'ennesima conferma negativa

23.11.2014 - Autore: Marco Triolo
Dopo il sorprendente Frankenweenie (tratto pero' da un soggetto degli inizi di carriera), Tim Burton sembra esser tornato quello di Alice in Wonderland e Dark Shadows, film che non avevano entusiasmato, mostrando oltretutto un inaridimento di una delle vene creative piu' eccezionali del cinema moderno. In Big Eyes siamo al ritratto intimo, sullo sfondo di un'ambientazione d'epoca, al biopic, ambito che sembrava porre delle basi ideali per il creatore di favole e personaggi che tutti avevano imparato ad amare.

I Big Eyes sono quelli dei soggetti dei dipinti di Margaret Keane, artista sfruttata dal marito sociopatico Walter Keane che faceva passare per suoi i quadri di enorme successo della moglie. Bambini con enormi occhi neri, tramite per raccontare una storia di femminismo vincente: la donna, interpretata da Amy Adams, riuscì infatti a vincere una battaglia legale contro il marito (Christoph Waltz) in cui dimostrò di essere la vera autrice dei dipinti.

Scritto dal duo di sceneggiatori di Ed Wood, Scott Alexander e Larry Karaszewski, il film si 'autodenuncia;, nel bene e nel male, visto che la critica americana si è profondamente divisa sul risultato finale… “Big Eyes si presenta come un intelligente seguito tematico di Ed Wood”, scrive Todd McCarthy di The Hollywood Reporter, secondo cui il film “trasuda un piacevole ed eccentrico fascino dipingendo un preoccupante ritratto del predominio maschile e della sottomissione femminile mezzo secolo fa”. McCarthy loda anche gli attori, “entrambi brillanti in un'opera peculiare”.

“Può Tim Burton evolversi?”, si chiede Inkoo Kang di The Wrap. La risposta è “Sì”, perché Big Eyes, “uno dei pochi film a trattare l'arte sia come commercio che come un pezzo del cuore del suo creatore”, “segna una piccola ma significativa crescita artistica”. “È rinfrescante vedere un crowd-pleaser femminista con la forza della correttezza morale dalla sua parte”. Eppure il film è “buono, non eccelso”. “La crociata di Margaret Keane contro il marito è puro, soddisfacente ottimismo filmico. Ma con Burton che mira più in alto di quanto abbia fatto da anni a questa parte, è un vero peccato che non si possa avere un po' più di sofisticatezza nel trionfalismo”.

E qui cominciano i dolori: “Gli occhi saranno pure lo specchio dell'anima, ma rivelano ben poco in Big Eyes, un racconto poco persuasivo e dozzinale della frode perpetrata da Walter Keane – scrive Justin Chang di Variety – Nonostante la toccante performance di Amy Adams […], questo relativamente diretto film drammatico di Tim Burton è concepito in maniera troppo generica per penetrare il mistero del matrimonio infelice dei Keane”. Non aiuta il fatto che "sia dominato da un Christoph Waltz eccentrico, quasi un orco, che tiene il film in ostaggio sempre di più”. “Questo biopic banale e maldestro – scrive Ryan Lattanzio di Thompson on Hollywood – ignora l'opportunità di criticare quell'ambiente dominato dagli uomini, spingendomi a chiedermi cosa abbia attirato Burton al soggetto, a parte gli inquietanti bambini dei quadri”.

Eric Kohn di IndieWire sintetizza perfettamente l'impressione mista della stampa americana: “Un dramma d'epoca dalle buone intenzioni ma decisamente minore, Big Eyes non è esattamente una catastrofe, ma il suo insipido ritratto di una storia affascinante, forse più adatta a un documentario, non dà alcuna prova che dietro la macchina da presa ci sia un regista così visionario”. Provaci ancora, Tim.

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