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Sei mai stata sulla Luna: la commedia preferisce la campagna

Raoul Bova e Liz Solari protagonisti del nuovo film di Paolo Genovese che riprende un tema caro al cinema italiano recente: la contrapposizione tra città e vita di campagna

Sei mai stata sulla Luna?

25.01.2015 - Autore: Mattia Pasquini
Nel 2014 Paolo Genovese si era avvicinato a David di Donatello e Nastro d'Argento con il “Tutta colpa di Freud” portato anche a New York per il N.I.C.E. Festival, ma a vedere il nuovo e annunciato “Sei mai stata sulla Luna?” sembra proprio che al suo cinema giovino maggiormente dinamiche narrative centripete come quella che aveva al centro il solito Giallini in stato di grazia. Stavolta ci si affida invece a Raoul Bova, e - senza troppo togliere - la differenza si vede.

Con lui, nei fuochi dell'ellisse, la bionda colombiana Liz Solari apparsa in “Ex - Amici come prima!” di Carlo Vanzina a comporre un duo poco solido come colonna centrale alla quale legare tanto le vicende - sentimentali e non - del duo di baristi concorrenti Rubini-Solfrizzi, quanto gli inserimenti di Frassica, Impacciatore, Sermonti, Abbrescia, Sassanelli e Marcoré (a tratti veri motori delle scene migliori del film).

Verrebbe da pensare “Molto rumore per nulla”, se non fosse inevitabile notare l'insistere del regista su una sorta di “gioco delle coppie”, sfruttato nel precedente e già promesso per il suo prossimo progetto (apparentemente interessante e dedicato alle “seconde opportunità”, sempre che vada in porto). Una costruzione che stavolta non gira a dovere, nonostante un cast anche gradevole, soprattutto per una sceneggiatura e dei dialoghi - scritti insieme alla coppia Pietro Calderoni / Gualtiero Rosella (molto impegnati in televisione) - troppo affidati a gag e prevedibili “colpi”.

Le location pugliesi, analogamente, per quanto splendide e parimenti protagoniste del film non aggiungono molto di più alle tante piazze di paese sfruttate come posteggio dalla presuntuosa milanese di turno e come piste da ballo per feste tradizionali fin troppo coreografate e “rivestite”. Pur fornendo con il loro biancheggiare la scenografia perfetta per quello che finisce con l'essere un teatrino d'altri tempi.

Ma non c'è diminuzione nel termine, ché anzi la scelta di una forma rappresentativa tanto popolare e' (o sarebbe) forse la più coerente con i personaggi messi in scena, di fatto “maschere” più che caratterizzazioni originali. Il rischio è che il giudizio diventi troppo negativo per il solito cozzare di aspettative e realtà, soprattutto se non si arriverà preparati per una poco originale e coinvolgente “commedia sentimentale sospesa tra città e campagna”, come la definisce il regista, che aggiunge “ironica”, senza trovarci particolarmente d'accordo.
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