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Maleficent, la strega buona di Angelina Jolie

Voleva essere un film “oscuro” su un personaggio malvagio, invece il remake de “La bella addormentata nel bosco” è una festa di buoni sentimenti

Maleficent

31.05.2014 - Autore: Marco Triolo
Un'intera campagna pubblicitaria basata su un concetto: la nuova Malefica non sarebbe stata una versione rabbonita dell'originale. Nelle intenzioni, “Maleficent” doveva essere una “re-invenzione” totale della fiaba della “Bella addormentata nel bosco”, narrata dal punto di vista del villain della storia. Qualcosa deve essere però andato storto durante la realizzazione, perché il risultato finale è esattamente quello che rischiava di essere: un remake appesantito del cartoon Disney originale e un film costruito a forza su un personaggio addomesticato, che non ha nulla dell'oscura potenza e del carisma della strega di cui porta il nome. 
 
Diretto da Robert Stromberg – scenografo e autore di effetti speciali due volte premio Oscar per “Avatar” e “Alice in Wonderland”, qui esordiente alla regia – “Maleficent” mette in campo almeno un concetto interessante: la malvagità di Malefica (che curiosamente si chiama così anche quando è buona) è causata da un amore tradito e in generale dalla tendenza umana a voler distruggere ciò che c'è di bello nel mondo. All'inizio del film, Malefica è una fata protettrice della natura, una forza antica e semi-divina che veglia sulla “brughiera” e la protegge dal mondo esterno. Poi qualcosa si spezza e da lì nasce la strega che tutti conosciamo. Solo che Stromberg e la Disney non hanno il coraggio di andare fino in fondo e perdono da subito il controllo del personaggio e del film: Malefica resta davvero malvagia quanto basta per scagliare l'incantesimo sulla neonata Aurora, ma nella mezz'ora seguente già la vediamo pentirsi e riscattarsi. Non c'è ambiguità, non ci viene raccontato un personaggio moralmente tormentato: a quella fase saranno riservati sì e no due minuti. Il resto sono buoni sentimenti e una sfilza interminabile di scene in cui Malefica e Aurora (una irritante Elle Fanning, ma non è colpa sua) giocano con le creature del bosco e si beano della natura incontaminata.
 
In pratica, “Maleficent” è una origin story – termine mutuato dai cinefumetti, ma che calza a pennello – costruita intorno a una fiaba che in sé sarebbe semplice, ma viene appesantita da inutili voci fuori campo e dalla ormai onnipresente mania di raccontare il passato di qualunque personaggio, sminuendone l'aura di mistero che ne faceva la forza. Così, ad Angelina Jolie resta poco da fare: la sua bellezza algida ben si sposa con il personaggio, ma il suo tentativo di interpretarla come un'anti-eroina femminista vendicatrice della natura cozza con gli interessi del reparto marketing: troppa ambiguità, si sa, fa male al box office.
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