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Il Macbeth di Michael Fassbender a Cannes: una tragedia senza pathos

Un adattamento gelido del testo di Shakespeare in cui il teatro filmato incontra l'estetica di “300”

Macbeth

24.05.2015 - Autore: Pierpaolo Festa
Il teatro filmato incontra l'estetica di “300”. Ma alla fine l'effetto è gelido. Questo è il nuovo “Macbeth”, l'adattamento della tragedia di William Shakespeare che non compete nemmeno per un secondo con i cult cinematografici precedenti realizzati da Welles, Polanski e Kurosawa. Un film senza pathos, ma soprattutto un prodotto che rischia di colpire il rapporto tra cinema shakespeariano e spettatori, quello fatto dal grande spettacolo interpretato da attori di punta, un "genere" scatenato nuovamente alla fine del millennio da Kenneth Branagh e portato avanti in maniera brillante da autori come Baz Luhrmann e Al Pacino.

A sbagliare in partenza è l'uomo dietro la macchina da presa, l'australiano Justin Kurzel, cui sembra non importi il valore del verso shakespeariano che viene pronunciato senza passione. Il più delle volte sussurrato, come se gli attori fossero su un palcoscenico alle prese con un adattamento senza infamia e senza lode della tragedia del bardo. Kurzel si ricorda solo in parte che questo è cinema: fa un ottimo lavoro nel trovare le location giuste, entrando dentro cattedrali e puntando l'obiettivo sulle meravigliose montagne scozzesi (tra i luoghi più belli del mondo); quello che non fa è coinvolgere lo spettatore al massimo delle possibilità. Gli interessa di più il fascino visivo, uno dei pochi punti di forza del suo film fragile.

Perfino gli attori, specialmente Marion Cotillard in versione Lady Macbeth languida, risultano legnosi. Più interessante il lavoro fatto sul corpo di Michael Fassbender, la cui presenza fisica è sempre convincente: lo vediamo allenarsi nel suo castello e fare giri attorno ai suoi alloggi mentre i pentametri giambici del suo Macbeth vengono pronunciati come voce della coscienza, proprio come se fossimo in un film di Terrence Malick.

Il verso del bardo perde potere, e allo spettatore poco importa di tutte le dinamiche della tragedia. A quel punto ci mettiamo alla ricerca dello spettacolo, sperando almeno in una dose di sangue e fango che arrivano in un terzo atto tanto estenuante quanto visivamente esagerato. Nello scontro finale vediamo Macbeth e Macduff (l'attore Sean Harris, prossimo villain di “Mission: Impossible - Rogue Nation”) avvolti dalle fiamme come se fossero all'inferno. Un'immagine potente che arriva troppo tardi in questo adattamento poco memorabile e costantemente fuori tempo quanto a ritmo.
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