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Weekend con il morto compie 30 anni. Che effetto fa rivederlo da adulti?

Il cult anni '80 con Andrew McCarthy è un film con una bella premessa salvato dall'incredibile mimica di Terry Kiser. E il simbolo dell'implosione degli Eighties

Weekend con il morto

08.07.2019 - Autore: Marco Triolo
È curioso che, alla domanda “Cos'altro ha diretto Ted Kotcheff a parte Rambo?”, la risposta sia “Weekend con il morto”. Non potrebbero essere due film più diversi, anche se hanno una cosa in comune: sono entrambi dei cult.
 
Il film con Sylvester Stallone lo è certamente di più. Ma anche la commedia con Andrew McCarthy e Jonathan Silverman ha segnato a suo modo una generazione. Usciva in USA trent’anni fa, il 5 luglio 1989. Per questo abbiamo pensato di rivederla e capire come sia invecchiata. Il responso non è detto che vi piaccia.

 
Weekend con il morto non è certo un film raffinato. È una commedia screwball che parte dalla madre di tutti gli equivoci – un uomo morto viene scambiato per vivo – e da lì imbastisce una serie infinita di siparietti tenuti insieme a malapena da un abbozzo di trama. L'incipit non è niente male. Girato a Manhattan, dimostra come un bravo regista possa infondere ritmo a una storia, e come un buon occhio dietro la macchina da presa possa regalare stile anche a una commediola. Le idee visive non mancano, come il tetto in cui i due protagonisti, Larry e Richard, si recano per prendere un po' d'aria (lo chiamano “la spiaggia” perché c'è una piccola piscina gonfiabile, ma l'asfalto si scioglie per il caldo).
 
Poi entra in scena Terry Kiser nei panni del boss Bernie Lomax, e non ce n'è più per nessuno. Siamo subito catapultati negli anni '80 dei lupi di Wall Street, degli uffici e delle auto di lusso, dei sigari e della coca, delle belle donne e della ricchezza sfrenata. Kiser è bravissimo a interpretare il bastardo che amiamo detestare e fin qui tutto funziona.

Poi Bernie muore e Kiser dimostra le sovrannaturali capacità che una premessa così folle richiede. È la sua mimica a tenere in piedi la seconda metà del film, tanto che, ogni volta che Lomax non è nell'inquadratura, il film si spegne. McCarthy e Silverman non sono più di tanto in grado di salvare la baracca, non hanno il carisma necessario. Ma non è tutta colpa loro.
 
È la scrittura il problema. Una volta che Bernie muore e il film dovrebbe decollare, al contrario muore con il personaggio. Pare quasi che lo sceneggiatore Robert Klane non sapesse che farsene di una premessa così divertente, finendo per stiracchiare in lungo e in largo due o tre trovate che sarebbero state buone solo per un corto.

Le recensioni dell'epoca lo stroncarono. Per una volta, purtroppo, ci tocca ammettere che, rivisto da adulti, Weekend con il morto non regge il confronto con il ricordo che ci era rimasto da quando eravamo ragazzini.
 
È decisamente appropriato che Weekend con il morto sia uscito al termine degli anni '80. Segna quasi un punto di non ritorno, l'implodere di una decade su se stessa. Simboleggia, quasi sicuramente in maniera involontaria, la morte del sogno di benessere e ricchezza sostenuto dall'amministrazione Reagan. La fine di un idillio innocente prima del duro risveglio dei primi anni '90, con la guerra in Iraq e la sterzata brusca della cultura americana verso la rabbia giovane della Generazione X. Perfino gli abiti indossati da McCarthy rappresentano la summa di quel ritorno all'America bianca e perbenista degli anni '50 che si sarebbe infranto subito dopo.

Un documento storico che vale più per quello che ha rappresentato – fu un successo di botteghino con una premessa che oggi nessuno toccherebbe neanche con un dito – che non per quello che effettivamente è. Se volete fare una passeggiata tra i ricordi, provate a recuperarlo. Magari attaccandoci in coda anche Weekend con il morto 2 (quello sì davvero intollerabile). Ma non dite che non vi avevamo avvertiti!