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Tim Burton e il cavaliere oscuro

Che la figura dell'Uomo-pipistrello sia stata quella più ambigua e complicata da portare sul grande schermo lo si può facilmente comprendere dai quattro film che hanno preceduto l'imminente "Batman Begins"

BATMAN BEGINS

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolanni
Che la figura dell’Uomo-pipistrello, tra tutti i supereroi dei fumetti, sia stata quella più ambigua e complicata da portare sul grande schermo lo si può facilmente comprendere soprattutto dai quattro film che hanno preceduto l’imminente “Batman Begins” (id., 2005) di Chirstopher Nolan: i primi due diretti dal genio tetro e malinconico del grande Tim Burton, gli altri da un Joel Schumacher teso invece a smentire il discorso estetico portato avanti dall’autore di “Edward mani di forbice” (Edward Scissorhands, 1990).

Tanto infatti Burton ha saputo immettere nei suoi due film la genialità creativa della propria poetica, imperniata su una visione “dark” e pessimista dell’eroe mascherato, tanto chi lo ha sostituito ha scelto invece di colorare in maniera sgargiante e “pop” ogni singola inquadratura, creando una sorta di enorme “giostra” di puro spettacolo. Ma proviamo a raccontare la storia dei due lungometraggi diretti dal folletto di Burbank.

Dopo almeno dieci anni di attesa, dovuti allo scetticismo ed ai rinvii della produzione, già il primo “Batman” (id., 1989) nasce tra enormi dubbi e polemiche: perplessità vengono infatti espresse da ogni parte quando la Warner Bros. annuncia di aver affidato la regia di questo blockbuster da 58 milioni di dollari di budget ad un cineasta allora non ancora 26enne, e praticamente sconosciuto al grande pubblico: Tim Burton, appunto. Tutti i fan dell’eroe mascherato si schierano poi contro lo stesso regista, quando sceglie per il ruolo del protagonista Michael Keaton, un comico dall’aspetto comune e dl fisico tutt’altro che poderoso. Girato in gran segreto negli studi Pinewood di Londra, il film è atteso da tutti al varco per essere demolito e decretare la definitiva impossibilità di portare gli eroi dei fumetti al cinema – in precedenza era toccato, con più che alterne fortune, soltanto a “Superman” (id., 1978). Risultato? La critica è piuttosto divisa (noi lo consideriamo un capolavoro), ma “Batman” diventa un successo di pubblico e di merchandising mai visto in precedenza: 251 milioni di dollari incassati soltanto sul mercato americano, e soprattutto la prima, fondamentale testimonianza precisa che si può fare cinema d’autore anche dentro i meccanismi più rigidi e commerciali di Hollywood.

Burton infatti riesce nell’impresa di far trasparire tra le maglie di questo colossal tutta la propria preziosa poetica visiva, fatta di scenografie espressioniste e di un’immagine scura, opprimente, elegante ma mai solarmente liberatoria. Eppure il regista soffre delle imposizioni della Warner, che lo costringe ad esempio a scritturare per forza la bionda ed inadatta Kim Basinger per inserire nel film la classica storia d’amore – che è di sicuro l’elemento più debole ed appiccicato della pellicola. Confermato al timone del sequel, Burton reagisce tirandone fuori un film ancora più cupo e personale, che affascina stavolta la critica ma sconcerta definitivamente la produzione e non trova il necessario riscontro del pubblico: 162 milioni di dollari d’incasso in America, una cifra ben al di sotto delle aspettative della Major. Di “Batman – Il ritorno” (Batman Returns, 1992), finora il miglior episodio delle avventure del “cavaliere oscuro”, è impossibile parlare come di una qualsiasi pellicola destinata al grande pubblico: si tratta di un’opera assolutamente personale e coerente, specchio preciso dell’anima e delle idee del proprio creatore. Altro merito dei due film diretti da Burton è stato indubbiamente quello di avere consegnato alla storia del cinema mondiale una serie di “antagonisti” dell’uomo-pipistrello che sono maschere tragiche di grandezza assoluta. Prima tra tutte ovviamente quella dello straordinario Joker, interpretato da un Jack Nicholson al vertice delle proprie, immense capacità interpretative. Ma anche l’orrendo Pinguino/Danny De Vito e la sinuosa Catwoman/Michelle Pfeiffer sono diventate icone di un’umanità disperata e deforme, impossibilitata alla normalità e quindi destinata alla perdizione.

La storia di Tim Burton e di Batman, purtroppo, termina qui: depresso dagli esiti al botteghino del secondo episodio e dall’incomprensione della Warner, l’autore lascia al più “affidabile” artigiano Joel Schumacher la regia della terza puntata, come già scritto all’inizio. Da quel momento, la saga di “Batman” diventerà ben altra cosa dal progetto estetico e poetico di Burton. Ma questa è un’altra storia, molto meno interessante…

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