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Step Up 3D: Salvati a ritmo di steppin'

Il terzo capitolo del fortunato franchise utilizza il 3D per coinvolgere lo spettatore direttamente nella frenesia del ballo

Step Up 3D

07.10.2010 - Autore: Federica Aliano
Step Up 3D - Le foto

Cosa chiede un ragazzo, magari un ballerino di hip-hop, quando va al cinema a vedere un film sui generi di danza che gli stanno più a cuore? Coreografie mozzafiato, combinazioni di passi e movimenti innovativi che gli facciano venire un’ispirazione per quando a ballare è lui, coinvolgimento emotivo nel ritmo e una certa onestà del film stesso nei confronti del ballo che racconta. Quel che non vuole sono attori, magari anche talentuosi, che però non hanno mai studiato una sequenza prima di lavorare su quel set e che, quindi, sullo schermo sembrano inevitabilmente nodosi burattini in legno. E poco importa se la storia è esile e pretestuosa: sta nel ballo l’elemento importante.

Questa formula è stata compresa benissimo da Jon Chu, regista e coreografo, quando ha preso le redini di Step Up 2 – La strada per il successo e ha deciso di non richiamare Channing Tatum, preferendogli attori sconosciuti che però sono dei ballerini perfetti. Chu torna dietro la macchina da presa con Step Up 3D e racconta la vicenda di Luke e della sua “comune” di ballerini. Lui e la sua crew vivono in un edificio che è un vero e proprio andirivieni di talenti dell’hip-hop, la break dance, lo steppin’, ma lo sfratto è imminente e l’unico modo per pagare è vincere una competizione mondiale. Intanto Luke conosce la misteriosa Natalie e resta affascinato da lei.

Ricetta perfetta e dosi misurate per il pubblico di cui sopra: le battute sono brevi e semplici, le coreografie lunghissime ed elaborate, in una commistione di old e new school. Con i passi inquadrati appositamente per cadervi in braccio grazie al 3D.