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I 75 anni di Rutger Hauer, cinque ruoli per celebrare il leggendario attore

Viaggio nella carriera del "Paul Newman olandese" che al cinema è stato sia il diavolo sia l'acqua santa

22.01.2019 - Autore: Gian Luca Pisacane
Lo chiamano il “Paul Newman olandese”. Prima di iniziare a recitare ha lavorato come guida alpina, elettricista, carpentiere e tecnico in un teatro. È stato anche per un anno su una nave mercantile. Rutger Hauer spegne settantacinque candeline (è nato il 23 gennaio del 1944 a Breukelen, vicino Utrecht).

Nella sua carriera è stato sia il diavolo che l’acqua santa, ha spaziato tra i generi, ha accettato sfide sulla carta impossibili.
In Olanda nel 1995 hanno emesso un francobollo con la sua immagine nell’esordio Fiore di carne. Avrebbe anche dovuto vestire i panni di Lestat in Intervista col vampiro e del protagonista di Robocop. Lo festeggiamo con le sue cinque migliori interpretazioni di sempre.



I falchi della notte (1981) di Bruce Malmuth: Primo ruolo hollywoodiano per Hauer. Silvester Stallone si traveste anche da donna per acciuffarlo. Hauer presta il volto a uno spietato terrorista pronto a scatenare il finimondo, e si fa anche una plastica facciale (Face/Off?) per sfuggire alla legge. Lineamenti da bravo ragazzo, ma spirito selvaggio. Affronta la fisicità mono tematica di Stallone con espressioni luciferine, e regala un inseguimento da antologia per le strade di New York. Curiosità: all’inizio il film doveva essere il terzo capitolo de Il braccio violento della legge.



Ladyhawke (1985) di Richard Donner: Biondo, occhi azzurri, faccia d’angelo, il camaleontico Hauer è un capitano falconiere, un cavaliere senza macchia e senza paura. In quest’avventura è un amante condannato a non vedere mai la sua “principessa”. Di notte lui diventa un lupo e di giorno la sua bella (una meravigliosa Michelle Pfeiffer) è il suo fedele falco. Qui Hauer è un eroe coraggioso, posato, affascinante, accarezzato dalla fotografia di Vittorio Storaro. Non sarà mai più così romantico.



The Hitcher – La lunga strada della paura (1986) di Robert Harmon: Espressione di ghiaccio, sguardo da maniaco. Il killer dell’autostop, il prototipo dello squilibrato moderno, Hauer terrorizza, massacra senza pietà, dà vita a uno degli incubi più serrati degli anni Ottanta. Incarna la disillusione della società, la difficoltà di diventare adulti, la presenza di un’entità maligna e onnipresente tra di noi. Hauer girò gran parte delle scene d’azione senza stunt e si ruppe anche un dente. Il giovane Thomas Howell era terrorizzato da Hauer dentro e fuori e dal set…

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La leggenda del santo bevitore (1988) di Ermanno Olmi: Hauer al suo meglio. Ispirato, irriconoscibile, imbruttito per essere un senzatetto a Parigi. La mente annebbiata dall’alcool, i capelli sporchi, gli abiti trasandati, le occhiaie profonde, le guance scavate. Si aggrappa ai ricordi di un passato lontano, quando faceva il minatore. Affoga il dolore nella bottiglia, buca lo schermo nei primi piani. Il suo “santo bevitore” compie un percorso di conversione, rimane fedele a una promessa, e scopre la spiritualità in un mondo che lo ha abbandonato.



Blade Runner (1982) di Ridley Scott: “Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare”, così Hauer inizia il suo monologo sotto la pioggia battente, e scrive un capitolo della storia del cinema. Forse non la sua interpretazione migliore, ma il personaggio più iconico, che ha fondato un immaginario e rimarrà immortale. L’androide ribelle, che rifiuta le convenzioni e nel finale ruba la scena anche a Harrison Ford. “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”. Una colomba bianca vola verso il cielo scuro, la colonna sonora dei Vangelis risveglia la malinconia. Tanti auguri, leggenda.

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