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Salvatore Piscicelli e il suo Dogma
Salvatore Piscicelli e il suo Dogma

05.04.2001 - Autore: Beatrice Rutiloni
Incontriamo il regista di origine napoletana, impegnato al mixer video del suo ultimo film Quartetto, il primo (o secondo?) film italiano Dogma, prodotto da Paola Ermini per la Lantia. Quattro settimane di riprese, partite il 26 febbraio, una storia sospesa tra la commedia e il melodramma, genere caro allautore di Le occasioni di Rosa e Il corpo dellanima, che interpreta un cross over tra cinema più tipicamente italiano e il modus inventato da Von Trier nel 95. Quasi interamente girato di notte, a luce naturale se si esclude lutilizzo di una sola lampada, come vuole il proclama, con telecamere digitali leggere, che rappresentano, secondo il regista, la possibilità di non invadere la scena con mdp , carrelli, dolly e varie. Anche la beta digitale è mezzo pesante, mi fanno ridere quelli che dicono di girare in elettronico e poi usano un supporto che è ingombrante quanto la mdp classica.
Ogni riferimento non è puramente casuale
Perché la scelta di raccontare una storia con le regole del Dogma a sei anni di distanza dal proclama?
Ho seguito con simpatia il Dogma sin dallinizio e la considero una provocazione, un modo per spingere i registi a prendere consapevolezza: sul terreno della sperimentazione del linguaggio visivo si è davvero fatto poco negli ultimi anni. In realtà ho vissuto il fenomeno come ritorno alla concezione di un cinema più essenziale, ridotto alla sua essenza profonda, che è il rapporto tra lattore e la macchina da presa.
Quindi una sorta di neorealismo moderno?
Più che di neorealismo è un approccio un po Rosselliniano, perché questa era la sua utopia in fondo, ridurre al minimo i diaframmi tra lo sguardo del regista e lo spettatore. A un certo punto ha abbandonato il cinema perché lo sentiva un mezzo troppo pesante, si è messo a fare documentari, quello in India per esempio. Il dogma per me significa recupero di una certa verginità del cinema, inteso come mdp e attore.
La sua posizione sembra quella di chi utilizza un mezzo esistente che non rientra in una corrente.
Esatto. Tantè che non ho mandato la sceneggiatura ai danesi per farmi approvare, come hanno fatto altri. Mi sono limitato ad attenermi alle regole. Era parecchio tempo che avevo questo progetto in mente con alcuni collaboratori, riuscire a definire un sistema di cinema leggero, che significa utilizzo di DV Cam, pochissimi interventi di luci e scenografie e quindi troupe piccola, un massimo di quindici persone. La cosa più importante di questa esperienza è stata proprio quella di farci capire qual è il modulo produttivo per la realizzazione di films di alta qualità in elettronico. La mia è unadesione allo spirito del dogma da un lato e dallaltro al suo nucleo essenziale, le regole. Aderisco alla sostanza, qualche regola lho anche trasgredita. Questo sistema ha anche un impatto poco invasivo degli ambienti dove si gira, si entra in maniera dolce, in due camioncini ci sta dentro tutto, senza gruppi elettrogeni, cavi, carrelli.
Parlava di regole trasgredite, quali?
Per esempio non sono previsti effetti speciali e scene drammatiche tipo uccisioni o autolesionismi a meno che non siano veri. Quartetto inizia con un tentato suicidio, Angelica si taglia i polsi, e poi cè una scena di autolesionismo, quando Francesca si procura dei tagli sul corpo. In realtà Dogma vieterebbe film di genere. Altra regola che ho deciso di rispettare mio malgrado è quella della musica che deve essere di fonte ma non di commento, cosa che per me ha comportato un sacrificio.
Non è limitante in linea di massima doversi attenere a delle regole precise per raccontare una storia?
In questo caso credo di no. Più che di regole parliamo di confini, al cui interno ci si muove con più libertà. Il vecchio cinema pone delle limitazioni a priori, la pesantezza dellapparato tecnico è davvero limitante.
Qual è latteggiamento degli attori nei confronti di un mezzo meno invasivo?
Ho usato il formato Dv Cam, le telecamere erano le Sony PD 150, simili a quelle che ha usato Von Trier per Dancer in the dark. Ne usavamo due costantemente, e una terza, meno sofisticata, utilizzata dalla Fazi per riprendere le altre. Sempre macchina a mano. Gli attori non avendo posizioni di luci da rispettare o carrelli erano più liberi, poi le sequenze si fanno più lunghe, si fanno meno ciak, si lascia spazio allimprovvisazione, e lì lattore deve essere bravo. Sicuramente è più facile recitare nel metodo classico, la recitazione qui deve essere spontanea, il digitale facilita i buoni attori, le sequenze sono più lunghe, spezzettando puoi far recitare chiunque.