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Parla con lei

Parla con lei

Parla con lei

14.04.2003 - Autore: Ludovica Rampoldi
Riapre il gran teatro Almodovar. Riapre con una storia intensa e dolorosa, riapre con un sipario che si alza (così si chiudeva Tutto su mia madre) e una splendida coreografia di Pina Bausch a far da prologo.   Dopo aver dato vita a figure femminili indimenticabili, Almodovar ci racconta due uomini, Benigno e Marco, e la storia della loro amicizia. Si conoscono per caso, sono seduti vicino a teatro guardando il Cafè Muller di Pina Bausch e Marco piange. Si rivedono tempo dopo, in clinica. Benigno è infermiere e si occupa giorno e notte di Alicia, una giovane studentessa di danza caduta in coma dopo un incidente. Marco è lì per unaltra donna, la sua fidanzata Lydia, una torera vittima di una sfortunata corrida: è anche lei in coma. Benigno si prende cura di Alicia, le racconta i film che ha visto, la trucca, soprattutto le parla. Marco non ci riesce, non riesce neanche a toccare il corpo inerte di Lydia, figuriamoci a parlarle.   Parla con lei, raccontaglielo lo esorta Benigno. Ma lei non può sentirmi... Chi può saperlo, il cervello delle donne è un mistero e in questo stato lo è ancora di più. Tra le mura della clinica inizia così la loro strana amicizia, una profonda forma di solidarietà che solo lunione di due persone sole può creare. Parla con lei è infatti anche un film sulla solitudine, ribadita continuamente dai due protagonisti. Marco è solo, lo dice a entrambe le donne. La solitudine, suppongo risponde Benigno allo psichiatra che gli chiede quale sia il suo problema. Quello di Parla con lei è un universo dove le persone hanno il vuoto intorno, vivono un deserto emotivo ma hanno bisogno di amare. E di parlare. Perché in fondo sono solo le parole, sembra dirci Almodovar, che possono superare la solitudine, le ferite affettive, e persino la morte. Se i protagonisti di Tutto su mia madre erano travestiti, attrici, donne capaci di recitare nel gran teatro del mondo, Parla con lei è il luogo dei narratori, dove uomini soli raccontano se stessi a chi vuole ascoltarli, e soprattutto a chi non può ascoltarli.   Ci volevano attori formidabili per interpretare delle figure così intense, e Almodovar ha saputo trovarli: Dario Grandinetti è Marco, luomo che piange, virile e trafitto di dolore (un talento naturale del pianto, una vera prefica, lo definisce Almodovar). Javier Camara dona umanità, innocenza e candore a un personaggio contraddittorio e ambiguo come quello di Benigno (in omaggio a Benigni), sulla carta una figura inquietante e al limite della necrofilia. Ma a Almodovar non interessa il giudizio morale. Uno stupro può essere un atto miracoloso e il violentatore può essere un anima candida, emblema della purezza e dellamore: di fronte allambiguità degli esseri umani, sono sole le parole a essere verità. Parlare è più semplice di quello che si pensa dice Marco alla fine del film a Geraldine Chaplin, l\'insegnante di Alicia: Non è vero. Io insegno danza e so che niente è semplice. Niente è semplice.