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Orrori e Meraviglie

E come ogni anno solare, il cinema ci ha servito orrori e meraviglie. Se non è osare troppo, ecco la lista dei cinque film più brutti e dei cinque film più belli del 2004.

Se mi lasci ti cancello

12.04.2007 - Autore: Giulia Villoresi
E come ogni anno solare, il cinema ci ha servito orrori e meraviglie.
Ci ha regalato momenti di emozione e di vergogna, di grida e di sbadigli. Ci siamo seduti infelici e siamo usciti contenti. E viceversa. Abbiamo suggerito e abbiamo sconsigliato. Abbiamo lodato e abbiamo insultato. Le combinazioni sono molte, ma per ogni anno, a meno di una carestia, ci saranno sempre esecrati ed elogiati.Se non è osare troppo, ecco la lista dei cinque film più brutti e dei cinque film più belli del 2004. Cominciamo da i più brutti, visto che si danno prima le cattive notizie. Amore senza confini, uscito in Italia a febbraio, e sostenuto dalla causa Onu. Per fortuna l'hanno visto in pochi. L'esistenza agiata e tranquilla di Sarah (Angelina Jolie) viene sconvolta dall'irruzione di Nick (Clive Owen) che le mostrerà il vero scopo della vita: aiutare i più deboli. Attraverso Cambogia, Africa, Cecenia, bambini scheletrici e uomini devastati, si accende la loro passione segreta e l'amore per il prossimo, amore senza confini. Ma un qualsiasi missionario si sentirebbe insultato da un film tanto sciocco. Il melodramma d'amore soffoca il dramma della miseria. Scadenti gli attori, con una Angelina Jolie al massimo della sua protuberanza labiale e un Clive Owen Indiana Jones fallito. Regia banale, solite inquadrature, dialoghi patetici. Tra canottiere trasparenti e jeans sdruciti, il Terzo Mondo visto da Hollywood. A ottobre ci tocca il nuovo film di Michele Placido, Ovunque sei. Presentato e poi insultato alla 61a Mostra del cinema di Venezia. Matteo ed Emma lavorano nello stesso ospedale, lui sulle ambulanze e lei in sala operatoria. In una sola notte le loro vite si incroceranno e cambieranno per sempre. Poco da dire su questo psicodramma intimista, la cui stesura ha coinvolto ben otto mani. Complimenti! Ne è uscito uno dei film più brutti della storia d'Italia. L'amore si trasforma in una squallida storia di corna, la morte in un pasticcio metafisico. Un insulto a chi ama e a chi soffre. Dopo la presentazione a Venezia, il motto del festival era: Placido, ovunque sei, restaci! Ma gli incubi di ottobre non sono finiti. Il regista Jacques Rivette, che alcuni hanno detto erede di Cocteau, alla tenera età di settantasei anni si è rimboccato le maniche. Storia di Marie e Julienne è la storia di un orologiaio fallito (Jerzy Radziwilowicz) che ritrova l'amore di una sua vecchia fiamma (Emmanuelle Béart) con cui inizierà un'esistenza prima felice, poi infelice, poi paradossale e in fine ectoplasmatica. Una Béart ridicola più che voluttuosa, e il suo compagno bolso non è da meno. Dialoghi incomprensibili, fantasmi, case cigolanti e molte tette. Qualche cineasta ha definito questo film "un piccolo, onirico capolavoro", ma quello che sembra è l'ultimo frutto di una demenza senile. Ed eccoci a dicembre, mese gravido di film, che ha portato tanta bellezza e tanta spazzatura. Tra la spazzatura c'è sicuramente Melinda e Melinda, nuovo attesissimo film di Woody Allen.
Alcuni sceneggiatori e amatori si incontrano in un caffè e inventano le due storie parallele di Melinda, una tragica, l'altra divertente. Radha Mitchell è la solita creazione caricaturale, tutta nervi e sigarette. L'episodio tragico non commuove e l'episodio divertente, udite udite, non fa ridere. Che Allen sia un maestro non ci piove, ma ormai il maestro ha finito di raccontare e ripropone all'infinito i soliti tic. A lui non lo si può proprio perdonare. E per finire in bellezza, un altro prodotto di dicembre, l'altrettanto atteso film di Mike Nichols: Closer. Un cast brillante, Julia Roberts, Jude Law, Clive Owen e Nathalie Portman, mette in scena i disguidi e le gioie dello scambio di coppia. Il regista de Il Laureato, che aveva saputo raccontare così bene i baratri in cui può sprofondare la passione, dirige una commedia stupida e posticcia, che punta tutto sui dialoghi, snocciolati come perle di saggezza, ma che non sono altro che ridicoli botta e risposta. Un film del genere poteva salvarsi solo con l'umorismo. Dopo la cinquina dei cattivi, finalmente si passa ai buoni, che a detta di molti sono stati la maggioranza del 2004: quel che si dice una grande annata. La scelta ha imposto dei sacrifici.
Se l'Italia ha dato del suo peggio con Michele Placido, ha dato anche del suo meglio con Matteo Garrone. Primo amore, quinto film del regista de L'Imbalsamatore, ha colpito nel segno. Tratto da un fatto di cronaca, è la storia di Vittorio e Sonia, trovatisi con un annuncio. Lui è un orefice ossessionato dalla magrezza, lei è una delle poche ragazze che si sente più magra di quello che è. Insieme alla loro storia d'amore comincia una lunga corsa verso l'anoressia, che per Vittorio non è mai abbastanza e per Sonia è l'unico modo per tenere vicino il suo uomo. Un film di vertebre, di costole, di pelle. Di fili d'oro sempre più sottili. Un racconto visivo sulle ossessioni ma anche sulla bellezza, non più quella botticelliana, ma quella sinistra della Venere di Cranach. Oltre al successo della Banda Osiris, premiata con l'Orso d'Argento a Berlino, Garrone mostra agli italiani come si fa il vero cinema. A febbraio è uscito Big Fish, nuovo capolavoro di Tim Burton. Il suo genio immaginifico concepisce la storia di Edward Bloom, che in punto di morte racconta al figlio la verità sulla sua vita: una di quelle verità che dovrebbero avere tutti. Campione in ogni disciplina, aiutato da giganti e da impresari circensi, attraverso città fantasma e gemelle siamesi, e poi ancora amore, guerra, ritorno, pesci enormi che nessuno può pescare, Burton mette in scena 125 minuti di sogno ad occhi aperti. È così netta la linea che separa l'immaginazione dalla realtà? Un irresistibile Ewan McGregor in un film ironico, magnifico, che dimostra che c'è qualcosa che può commuovere gli uomini più del dolore: la fantasia. Evitando di soffermarsi sul titolo italiano, che di certo avrà deviato i più, Eternal Sunshine of a Spotless Mind, nato dalla geniale collaborazione di Michael Gondry e dello sceneggiatore Charlie Kaufman, è una delle rivelazioni del 2004. Quando Joel (Jim Carrey) scopre che Clementine (Kate Winslet) si è fatta cancellare dalla memoria tutti i suoi ricordi, decide di sottoporsi allo stesso trattamento per smettere di soffrire. Ma l'amore vince tutto, anche l'incredibile macchina del dottor Mierzwiak: a processo già iniziato, comincerà una disperata fuga dei ricordi, che si nasconderanno sotto i tavoli, sotto la vergogna, sotto il passato più remoto per sfuggire all'eliminazione. Un'allucinazione geniale, un'intuizione fulminante sulla memoria e i suoi meandri. L'amore non è chimica, l'amore è volontà, e finalmente Gondry ce lo racconta mentre emerge dallo squallore di una periferia e dall'oscuro abisso di un encefalo. La messe di dicembre ci regala Ferro 3, ultimo film del regista coreano Kim Ki-Duk. Tae-Suk visita le case vuote, mangia, si fa una doccia, aggiusta gli oggetti e poi se ne va. Una notte, in una delle sue incursioni, viene sorpreso da Sun-hwa, una ragazza infelice. In due vanno via insieme, e il loro amore continuerà oltre ogni ostacolo, anche metafisico. Ogni uomo è una casa vuota che aspetta di essere liberata dalla sua solitudine, l'amore è un visitatore, un ectoplasma, una presenza leggera come un'ombra. Quasi privo di dialoghi, ma in nessun modo noioso, questo film è un'esperienza magica e sensoriale, un sentimento più che un film, che non ha bisogno di parole nè di interpretazioni per acquisire il suo senso. E per finire, un posto di tutto rispetto lo occupa l'ultimo capolavoro della Dreamwoks: Shrek 2. Di ritorno dalla luna di miele, Shrek e Fiona ricevono un invito nel regno di Far Far Away, dove il re e la regina, genitori di Fiona, aspettano gli sposi novelli. Ma una Fata Madrina immorale e un Principe Azzurro bramoso di potere rischieranno di mettere a repentaglio il loro amore. Ennesima dimostrazione di come la commedia abbia trovato la sua forma perfetta nel film d'animazione, le avventure di Shrek sono un'esplosione di gag esilaranti, di citazioni cinematografiche, di satira di costume e di intuizioni geniali, come il Gatto con gli Stivali che sa essere spietato sicario e irresistibile micio con accento spagnolo. Un'incredibile colonna sonora anni Ottanta rende questo tesoro animato un sarcastico, scatenato Fairy Tale.